Rassegna stampa
Dal fallimento Capitale alla Coppa: Monchi, un addio tra errori e dubbi
NOTIZIE SIVIGLIA MONCHI – Ramón Rodríguez Verdejo, chi è costui? Monchi. Sì, lui. Così è conosciuto da tutti. Non era il Re Mida dei ds (così fu definito quando è arrivato a Roma), forse non è nemmeno il brocco visto a Roma (così è stato apostrofato quando se n’è andato). Non è un problema di città o tifoseria brutte e cattive, per ambiente poco confortevole, forse, si deve intendere Trigoria, la Roma. Un luogo non facile dove poter lavorare, questo ci dice la storia. Certo, anche l’ambiente, se inteso come esigente, può creare pressioni, quindi problemi, ma dove non è così? Sarà un caso, ma Monchi, nella sua comfort zone di Siviglia, è tornato il Re Mida, vincendo la sua sesta Europa League.
Era sbagliato lui o eravamo sbagliati noi? Di sicuro era sbagliato il rapporto che il ds aveva con il presidente e i suoi consiglieri, erano sbagliate le disponibilità economica e le esigenze di bilancio, e poi anche lui di errori ne ha commessi, ovvio. Anche molti. L’impressione è che Ramon, partito nemmeno troppo male, si sia incartato dopo il no improvviso di Malcom e il fallimento della trattativa per Mahrez. Non è certo la stessa cosa presentarsi subito dopo con Schick, che esterno non era e non è, e Nzonzi, che di mestiere fa il centrocampista centrale e non l’ala, per non dimenticare Karsdorp infortunato, il fragile Pastore, più i vari Marcano, Bianda (pagato circa sei milioni e mai visto). Acquisti sbagliati, stagione sbagliata. Lui, quindi, sbagliato, pur essendo un gentiluomo, educato, molto disponibile al dialogo. Un uomo di mondo. Elegante.
Eppure lui quella Roma l’aveva portata in semifinale di Champions. Ma aveva il solito compito di rimpinguare le casse: da questo, le cessioni sanguinose di Salah e Ruediger e poi il botto con l’addio di Alisson. Gli rimproverano di essere scappato nel pieno del marasma, di aver creduto troppo in Di Francesco quando, a detta di tanti, era indifendibile. Pallotta lo aveva definito il maggior responsabile della stagione fallimentare. Un mostro insomma. Poi, torna a Siviglia, sceglie l’allenatore (Lopetegui), compra una decina di giocatori e vince l’Europa League. Possibile sia solo colpa di Roma, dell’ambiente?
Forse no, è vero che magari qui c’è meno pazienza, il tutto figlio della frustrazione per le mancate vittorie. Qui ha lasciato poco, ma almeno Zaniolo è tanta roba. Questo è un discorso che vale anche per Luis Enrique, è vero, arrivato qui da giovane e inesperto allenatore, e dopo si è rivelato un allenatore vincente. Vale anche per Garcia, cacciato a calci e oggi ha riportato il Lione a giocare una semifinale di Champions, eliminando Juve e ManCity. Troppe cose non tornano. A Roma si sbaglia di più, forse. Specie chi è a abituato a vivere meno pressioni. Il dato comune alle vittoria sono i grandi giocatori, spesso i ds, in quei momenti, passavano sotto traccia. Falcao, Conti, Pruzzo, Batistuta, Totti, Montella etc. Con questi giocatori, Roma sarebbe una comfort zone per tutti. Al di là dei discorsi filosofici sull’ambiente, spesso una scuse per perdenti.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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