AS ROMA NEWS VERONA DE ROSSI – Millesettecento giorni dopo e uno striscione che racchiude un po’ tutto: “Ci siamo lasciati con una promessa nei tuoi confronti, oggi ci ritroviamo per continuare a mantenerla. Siamo tutti DDR”. Con la firma della Sud e il ricordo di quella promessa fatta a Daniele De Rossi quel 26 maggio 2019, nel giorno del suo addio alla Roma, scrive La Gazzetta dello Sport.
“Noi non ti lasceremo mai”, il giuramento della sua gente. E ieri glielo hanno ricordato a più riprese. Accogliendolo con un boato, salutandolo di cuore a fine partita (con Daniele sotto la Sud, dove quel giorno di 4 anni fa si inchinò) e incitandolo a lungo durante la partita.
«L’abbraccio alla Sud è uno dei momenti che verranno messi nell’album dei ricordi della mia vita – ha detto a fine partita De Rossi -. Tempo fa dissi che l’unico rammarico era poter dare una sola carriera alla Roma. Ecco, forse ora la seconda mi è stata donata. Vediamo quanto durerà. Me la devo godere, ma anche dare il 200% perché sulle nostre spalle c’è l’amore di questa gente». Gente, appunto, che non ha mai smesso di amarlo. E anche di dimostrarglielo. «In questi 4 anni e mezzo ho continuato a ricevere tanto amore, forse anche più di prima. Stavolta non mi sono goduto tanto l’atmosfera perché dovevo pensare a cento cose, la tensione fa questo. Ma ci sono i social, andrò a vedermi gli striscioni. Ho il cuore che mi scoppia per i tifosi, non potrei essere più contento».
E tra le cento cose alle quali ha dovuto pensare c’è stata anche quella più importante, la partita. Bisognava vincere e così è stato, anche se le due facce della Roma non lo hanno reso felice fino in fondo. «Risultato buono. Il primo tempo mi è piaciuto, nella ripresa siamo calati forse anche un po’ per insicurezza. Sono stato giocatore: quando le cose vanno bene voli, quando vanno male basta un gol subito per pensare più a non prenderle che a costruire. A noi è successo questo, forse anche per colpa mia, abbiamo aumentato i carichi di lavoro e i ragazzi erano un po’ imballati».
Se nei primi 45 minuti la palla andava, nella ripresa sembrava quasi impantanata. «Il possesso palla funziona se la palla viaggia e ti aiuta a saltare le linee di pressione. Se invece il pallone non va, diventa più facile aggredirci e rubarci palla. Il secondo gol deve farci capire che se giochiamo a un tocco o due va bene, altrimenti ci addormentiamo. Il possesso palla va bene se lo fai veloce, altrimenti ci ammazzano. Ma se lo facciamo bene, con i giocatori che abbiamo possiamo divertirci».
Certo, poi c’è anche la sfortuna, che ti porta a dover rinunciare quasi subito a Spinazzola e a inizio secondo tempo anche a Dybala. «Spinazzola si è fatto qualcosa, ma niente di gravissimo. Paulo sentiva invece qualcosina già prima della partita. E’ stato fermo per dieci giorni, abbiamo caricato. Alla fine però mi ha detto che non è niente, si sente solo un po’ indolenzito e non era libero di spingere». Ed infatti senza di lui ha iniziato a non spingere più sull’acceleratore anche la Roma.
«Al di là della qualità in sé del giocatore, se levi Totti e metti un altro fortissimo come Toni fa cose diverse perché ha altre caratteristiche. Quando esce Dybala c’è meno qualità, esattamente come quando esce Leao o Lautaro c’è meno velocità e meno profondità. Ma anche senza Dybala dobbiamo essere in grado vincere contro il Verona e di giocare meglio di come abbiamo fatto negli ultimi 30 minuti».
E allora la difesa a 4 come mantra, forse anche per le prossime gare. «In questo modo guadagniamo un uomo in più nella fase offensiva ed avendo qualità a centrocampo e in attacco penso sia la scelta giusta – chiude De Rossi –. Anche se poi la costruzione l’abbiamo fatta spesso a tre, dal basso». Infine i fischi. «Possiamo tramutarli in applausi giocando meglio il secondo tempo. Abbiamo vinto, teniamoci i tre punti. La squadra, anche soffrendo, ha lottato e speso tanto. E i giocatori hanno dimostrato di tenerci molto». Proprio come lui, che ha avuto il cuore in tumulto per 90 minuti. Poi si è lasciato andare, ha festeggiato, come è giusto che fosse. Millesettecento giorni dopo c’è ancora Daniele nel cuore della gente giallorossa. Con una promessa, quella di quel 26 maggio 2019: siamo tutti DDR.
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