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Rassegna stampa

De Rossi sul filo del rasoio. Arrivata l’ora di cambiare

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Daniele De Rossi ha il dono dell’analisi. Diventerà un allenatore, come tanti grandi centrocampisti, e sa per primo di aver sbagliato martedì sera. Il suo era un fallo molto pericoloso e il «rosso» è stata la decisione giusta, anche se ogni calciatore spera sempre che l’arbitro possa chiudere un occhio e limitarsi al «giallo». È arrivato alla quattordicesima espulsione in carriera (12 con la Roma e 2 in Nazionale) e questo non lo mette in una situazione semplice. Per molti è tornato «il bullo di Ostia», magari per gli stessi che una settimana fa l’avevano esaltato per gli interventi «gladiatori» a Porto, quando aveva retto la baracca di una Roma rimasta in dieci per l’espulsione di Vermaelen. C’è abituato. La sua carriera è stata sempre da Blade Runner, l’uomo che corre sul filo del rasoio. Per la prima volta, però, Daniele De Rossi sta riflettendo davvero se sia il caso, a giugno, di lasciare la Roma per chiudere la carriera di calciatore negli Stati Uniti. Dovesse cedere alla tentazione succederebbe qualcosa di clamoroso: il suo addio, unito a quello di Francesco Totti, un altro contratto che scadrà a giugno, segnerà la «deromanizzazione» della squadra. Via il Capitano e via Capitan Futuro, il soprannome che Daniele ha sempre più subito che gradito.

Agli allenatori brillano gli occhi quando parlano di De Rossi. Mourinho avrebbe fatto carte false per portarlo nell’Inter del «triplete». I tifosi romanisti, invece, sono da molto tempo spaccati in due. Non sono pochi quelli che gli rinfacciano il maxi stipendio (6,5 milioni netti all’anno, fino all’arrivo di Higuain alla Juve era il calciatore più pagato della serie A) a fronte di un rendimento che non ritengono più all’altezza. Eppure De Rossi ha dato alla Roma 523 partite, 54 gol e la totale disponibilità a giocare sempre, in qualsiasi ruolo e anche in condizioni fisiche precarie. Con 106 presenze e 18 gol è il romanista con i numeri più alti nella storia della Nazionale italiana, con la quale ha vinto il Mondiale 2006, insieme a Francesco Totti e Simone Perrotta. Un Mondiale in cui prese la prima squalifica «pesante» per una gomitata allo statunitense McBride.

Luciano Spalletti, ieri pomeriggio, ha parlato alla squadra dopo lo 0-3 contro il Porto, l’eliminazione dal preliminare di Champions e la perdita di 30 milioni di euro, perché è vero che la Uefa ha introdotto un «paracadute» per chi precipita in Europa League ma lo è anche che un ottavo di Champions League può valere un incasso da 3 milioni e mezzo, che il grande palcoscenico serve a un club che è sempre alla caccia di uno sponsor da mettere sulla maglia e che un calciatore di valore può restare un anno senza Champions ma non due. Certo, lasciare la squadra in dieci è una colpa. Ma è un merito dire sempre di sì all’allenatore, anche quando ti chiede di giocare in un ruolo dove rischi le brutte figure. De Rossi ha le spalle larghe e non ha mai cercato di piacere a tutti. Ha commesso errori, ha incassato critiche ed è ripartito. È sempre stato un punto di riferimento per i giovani che, arrivati alla Roma, trovavano in Totti un campione da ammirare e in De Rossi uno che li portava anche a mangiare una pizza. A giugno scadrà il suo contratto e la decisione sul futuro non è più scontata. Cosa vorrà fare la Roma? Cosa vorrà fare De Rossi?

(Corriere della Sera – L. Valdiserri)



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