«Io sono ancora qua, eh già». Francesco è qua, le posate le usa pure oggi, la tavola è sempre imbandita, l’argenteria non passa mica di moda. Sedici anni, cosa sono quando vai a scavare nella memoria e trovi una foto, un cucchiaio, una partita cha vale un film come un film è stato Pelé. C’era pure O Rei quel 29 giugno 2000 all’AmsterdamArena, quando Frank De Boer litigò con gli 11 metri e Totti fece correre i più giovani a cercare su internet chi diavolo era stato Antonin Panenka, l’inventore del cucchiaio. Io sono ancora qua, chissà se Totti domani sera userà le stesse parole di Vasco Rossi, chissà se gli sguardi di Frank e Francesco si incroceranno ripensando a quella semifinale dell’Europeo che passò dai loro piedi. Uno rischiò di vincere il Pallone d’oro, con quella posata. L’altro chissà per quante notti non ci ha dormito: due rigori sbagliati, maledetto piede mancino di un capitano oranje che ha incrociato sulla sua strada Toldo sia nel primo tempo sia nella serie finale.

LA SVOLTA – Ventinove giugno, sul calendario di Francesco c’è il circoletto rosso. Perché quel giorno ha segnato l’inizio di un altro Totti. Forse non è neppure un caso che alla fine della stagione successiva avrebbe vinto lo scudetto con la Roma, contro la Juventus di quel Van der Sar sbeffeggiato in Olanda. Il cucchiaio divenne — o meglio, tornò ad essere – per tutti un gesto tecnico, ancor prima che una posata buona per la minestra. Due mesi e mezzo prima, in campionato contro il Bologna di Pagliuca, Totti aveva fatto le prove tecniche. Sedici aprile 2000, a quella data risale il primo cucchiaio tottiano dagli 11 metri. Due giorni dopo il Barcellona di De Boer sconfiggeva ai supplementari, anche grazie a un rigore (di Rivaldo, non di Frank), il Chelsea di Vialli in Champions League. Vallo a sapere che passata la primavera i due si sarebbero ritrovati con gli stessi 11 metri da percorrere. Con occhi diversi, quanto diversi. Perché è proprio vero quando si dice che lo capisci dallo sguardo, se un calciatore sta per segnare o sbagliare un calcio di rigore. A guardarli oggi, quei tiri, quegli occhi, tutto sembra scontato. A leggerlo oggi, questo Roma-Inter che niente vale in confronto a quell’Olanda-Italia, sembra così scontato che Francesco giochi ancora e Frank i rigori non li calci più, semmai al massimo decida i tiratori da mandare sul dischetto. E invece l’incrocio è unico: non c’è altro Totti, non c’è altro giocatore protagonista allora come oggi. Per dire: l’olandese Strootman, che di De Boer era un tifoso bambino di appena 10 anni, oggi è qui a scherzare: «Spero di non smettere prima di Francesco…».

DESTINI DIVERSI – Se un rigore ci sarà, domani come allora sarà Francesco. Se un rigore ci sarà, domani invece di allora, sarà Mauro Icardi e non Frank. Roma-Inter è anche questo. È una squadra che ogni giorno di più si specchia e si interroga abbracciando il nome di Totti: così luccicante come storia e così profondamente limitante come prospettiva, è il presente che mangia il futuro. Roma-Inter è pure un allenatore che il rigore, oggi, lo pretende dai suoi calciatori, capaci di prodezze e disastri, euforia e depressione, Guerra e Pace. Roba da mani nei capelli come le mani nei capelli si mise Frank quel giorno. Roba «da dilettanti» per usare le parole dell’olandese, così preso in mezzo da una Juventus e uno Sparta Praga che finisci per non capire più dove ti trovi. Eccola qui, questa strana sfida: Francesco e Frank, la radice del nome è la stessa, ma il cammino è diverso. Perché in fondo ognuno spende come vuole i propri 16 anni. Ma se un rigore davvero domani ci sarà, un pensiero a quel 29 giugno lo faranno tutti e due.

(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini)



FOTO: Credits by Shutterstock.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA

🚨SEGUICI IN DIRETTA🚨