Rassegna stampa
Destino, talento, amici e nemici: il documentario su Totti commuove
NOTIZIE AS ROMA TOTTI – Conoscete il gioco “paperelle”? Alla scuola Manzoni di Roma era di gran moda, almeno una trentina di anni fa. Funziona più o meno così: un gruppo di bambini si muove lungo dei gradini, mentre un compagno da sotto deve colpirli, e eliminarli, calciando un pallone, riferisce la Gazzetta dello Sport.
È lì che Francesco Totti, piccolo e timido, ha capito di essere forte. Anzi, il più forte. Il più forte tra i suoi amichetti, il più forte della Lodigiani, il più forte della Roma. Mi chiamo Francesco Totti, il docufilm di Alex Infascelli presentato ieri in anteprima alla Festa del cinema di Roma, racconta il campione attraverso le piccole cose, quelle più intime, quelle mai viste, quelle più vere. Tratto dal libro Un capitano scritto da Totti con Paolo Condò, da domani e per tre giorni sarà al cinema (la prevendita è andata benissimo, quindi non si esclude un prolungamento), poi su Sky dal 16 novembre.
Tra un Super 8 girato al mare in cui Totti a meno di un anno già insegue un pallone («Da lì è partito tutto») e un gol scudetto («Dentro quel pallone c’era il sogno mio»), tra una festa di 18 anni a cui
a sorpresa si presenta Giannini («L’uomo torta») e il Mondiale vinto dopo l’infortunio («Dio ha voluto che andasse tutto così»), qui emerge un Francesco pieno di umanità, profondo, attento al prossimo e con un forte legame con la famiglia.
Anche per questo ieri ha rinunciato alle passerelle. Papà Enzo, che nel film compare decine di volte, è scomparso sei giorni fa: un dolore che va vissuto senza riflettori. Del resto, tutto quello che c’è da dire su di sé, sul destino, sull’amore e sulla passione, lo dice in questi 105 minuti di parole, commosse, ironiche o pungenti, che accompagnano le immagini di una vita. Va detto, qualche lacrima scende. Anche perché il racconto parte dalla fine, dalla notte prima della partita d’addio al calcio, quel 28 maggio 2017 che ancora in tanti maledicono. E una certa malinconia in questo sguardo rivolto al passato c’è. E coinvolge tutti.
Perché, come ricorda Francesco, «’sto tempo è passato. Pure pe’ voi però». Quel bambino biondo e timido è cresciuto, ha lavorato sodo, ha fatto scelte importanti («Come faccio a anna’ via da Roma? Io so’ de Roma e basta»), ha incontrato amici («Mazzone per me è stato un papà») e nemici («Cioè tu me cacci da Trigoria? Da casa mia?», dice sulla mancata convocazione di Spalletti post sfogo al Tg1), è cambiato e ora guarda al futuro («Che sarà più bello di quanto possa immaginare»). Alla fine, in questo Totti tanto sincero ognuno di noi può riconoscere almeno una pezzetto di sé. Perché anche noi, come lui, a volte vorremmo riavvolgere il nastro. E tornare a giocare a “paperelle”.
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