(Il Messaggero – M. Ferretti) Eusebio Di Francesco ha un grande pregio: la sincerità. Il tecnico della Roma, però, ha anche un grosso difetto: la sincerità. Abituato a dire sempre ciò che pensa, e senza filtri, EDF ha finito col dire troppo. Perché nel calcio, dove regna la regola del silenzio-stampa parlato, cioè dire per non dire, la schiettezza spesso si trasforma in incoscienza, se non addirittura in un boomerang letale. Partiamo da fuori campo, dove la sua gestione pubblica della Roma non è stata tradizionale, per arrivare dentro il rettangolo di gioco, all’interno del quale non sono mancati errori, come lo stesso Eusebio ha riconosciuto. È molto forte, però, il sospetto che il pubblico e il privato abbiano trovato un deleterio punto d’incontro. Come se la squadra a gioco lungo abbia risentito, più o meno volutamente, dell’atteggiamento mediatico del proprio allenatore. Affermare, ad esempio, che i giocatori durante la sosta non hanno fatto i compiti per le vacanze, non ha stimolato la voglia della squadra di smentirlo quanto quella di lasciarlo ancor più al suo destino. E la conferma arriva direttamente dal campo, dalla prestazione del gruppo, assolutamente non in linea con le direttive dell’allenatore. Che, ostinandosi a voler giocare un calcio (il 4-3-3) senza averne gli interpreti ideali, ha finito col dare l’impressione di non saper far altro.
GLI ERRORI SUL CAMPO – Gli si rimprovera di saper solo mettere dentro punte se ha bisogno di vincere o difensori se non deve perdere. O di non azzeccare mai un cambio in corsa. Non ha creato, gli si rinfaccia, le premesse per giocare in una maniera diversa; di aver allontanato Nainggolan dalla porta avversaria; di aver esagerato con il turn over; di far soffrire Dzeko di solitudine, lì davanti. Tutte considerazioni che, fino al derby dello scorso novembre, erano impensabili, perché proprio quelle scelte stavano rappresentando la forza della Roma. Ecco perché, quanto accaduto dal derby in poi, non può essere ricondotto soltanto all’incapacità (pressunta o reale) dell’allenatore. Che, probabilmente, avrebbe voluto modificare gioco e giocatori, a patto però di averli a disposizione. Su Schick si è incartato, l’ha ammesso lui stesso, cadendo nella tentazione cittadina di vederlo prima possibile in campo. Su Moreno, Under e Gonalons, tre giocatori che gli ha messo a disposizione il ds Monchi, non ha mai avuto dubbi: alternative, riserve, non titolari. Si è reinventato Gerson, ma senza trovargli una collocazione tattica precisa; è stato obbligato a far giocare Florenzi esterno basso per mancanza di soluzioni diverse; ha sfiancato Kolarov per l’indisponibilità di un altro titolare in quel ruolo, causa infortuni o esigenze economiche della società; sta ancora aspettando l’esterno alto mancino da far giocare a destra. Alla Roma, lo ribadiamo, non manca Salah, ma mancano i gol di chi è stato preso al posto dell’egiziano. E, sotto questo aspetto, Eusebio ha responsabilità relative. Prima di essere condannato (sul banco degli imputati c’è, ovviamente; ma in ampia compagnia), Di Francesco merita parecchie attenuanti, e non generiche. Questo, solo per ribadire che non ci possono essere innocenti, se le cose nella Roma oggi vanno così male. Se lui è inadeguato, molti altri tesserati (a tutti i livelli) lo sono. Perché se fosse vero che il reale, unico problema della Roma è l’allenatore, la soluzione vincente è già pronta: cacciare Di Francesco.
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