L’allenatore della Roma Eusebio Di Francesco è stato intervistato dal Corriere dello Sport. Questo uno stralcio delle sue dichiarazioni:
Di Francesco, quando ha capito che sarebbe diventato l’allenatore della Roma?
«I primi contatti risalgono all’inizio di maggio. E i miei dirigenti lo sapevano, perché li ho sempre tenuti al corrente della trattativa. L’ufficializzazione è arrivata in un ristorante di Fusignano».
Schick a che punto è come testa? La sua intervista ha fatto discutere.
«Non ho ancora avuto modo di parlargli direttamente ma ho saputo che è stato male interpretato. Purtroppo non è stato bene fisicamente e l’ho potuto allenare poco ma vi assicuro che ha dei mezzi tecnici impressionanti. E poi è molto agile pur avendo un gran fisico. Ora vuole e deve dimostrare di essere da Roma».
Quando lo conosceranno i tifosi?
«Spero di convocarlo già per il derby. Convocarlo eh, mi raccomando, non scrivete che giocherà subito. La settimana prossima proveremo a rimetterlo in gruppo».
Accennava al derby: da vecchio allievo di Zeman, la considera una partita come le altre?
«Ho imparato a capire di no. Da giocatore la prima volta, riscaldandomi sotto la Curva Sud, sentii le gambe che tremavano. Questo è un evento che esula dalla classifica e dal campionato. E’ una cosa a sé. Certo è bello che sia una partita di vertice. E ci tengo a fare i complimenti a Simone Inzaghi, che conosco bene: sta gestendo il suo gruppo in maniera eccellente».
Come si batte la Lazio?
«Non voglio svelare molto. Di sicuro non snatureremo le nostre caratteristiche e la nostra mentalità. Non bisogna adattarsi all’avversario, bisogna rispettarlo. Sappiamo che la Lazio è brava a sfruttare le ripartenze, noi metteremo in atto la nostra strategia per vincere la partita».
E per vincere lo scudetto come si fa?
«Noi dobbiamo lavorare tanto per essere da scudetto. E ci stiamo attrezzando, conoscendo le nostre rivali. C’è il Napoli davanti che gioca un gran bel calcio. Ma io sono convinto che resti la Juve la squadra da battere: la novità di questo campionato magari è che ci siamo tutti avvicinati di più a loro. E conta che noi siamo lì, pronti».
Qual è la differenza della Juve?
«L’abitudine a giocare grandi partite una dopo l’altra: campionato, Champions, campionato. Comprano giocatori adatti a questo tipo di stress, di mentalità. E poi ragazzi, hanno lo stadio di proprietà. Quello porta 10 punti in più in classifica».
Lo vuole costruire anche la Roma.
«Spero che si faccia, per il discorso di cui sopra. E voglio essere su questa panchina quando lo inaugureremo».
Che tipo di società è questa rispetto a quella che aveva conosciuto da calciatore?
«Un’azienda strutturata e moderna, straordinaria, dove siamo messi nelle condizioni di rendere al meglio. Trigoria è un centro sportivo all’avanguardia, c’è tutto. Prima era un altro calcio, a conduzione familiare, dove magari società organizzate come la Juve erano un’eccezione».
Una volta per tutte: a chi si ispira Eusebio Di Francesco?
«Un po’ a tutti. Mi colpiscono Guardiola, Sarri. In generale amo gli allenatori che trasmettono il loro pensiero senza specchiarsi negli avversari. Ma mi piace anche imparare da me stesso, perché l’intuito è decisivo nelle scelte di un allenatore. Tra gli allenatori che ho avuto ho imparato molto da Capello per quanto riguarda la gestione del gruppo e da Zeman per la fase offensiva e per la cultura del lavoro: adesso tutti diciamo che la ripetitività degli esercizi in allenamento migliora i calciatori ma Zeman lo diceva trent’anni fa. E la sua fase offensiva, in quella fase storica del calcio, non la faceva nessuno».
Quali sono i presupposti del calcio più efficace?
«E’ la palla che deve comandare. E’ fondamentale essere aggressivi per riconquistarla il prima possibile. Meglio, in fase di possesso, cercare il fraseggio corto alternandolo con raziocinio alla verticalità, perché se hai tanti calciatori vicini alla palla e gli altri te la prendono, hai più possibilità di recuperarla con un atteggiamento aggressivo. Lo so che non sempre è facile ma è ciò che ho provato a insegnare alla squadra».
Si può dire che Roma-Atletico e Roma-Napoli siano stati i suoi momenti di svolta?
«Esattamente. Con l’Atletico non stavamo bene fisicamente ma abbiamo resistito, prendendo fiducia. Con il Napoli abbiamo perso perché abbiamo difeso troppo bassi. Io da mesi cercavo di spiegare il contrario e con quell’esempio, la squadra ha capito che doveva osare. Difendere avanzando, non arretrando».
Ora la Roma diventa la mina vagante della Champions?
«In questo momento lo siamo. Ma non è finita. Dobbiamo ancora qualificarci agli ottavi e possibilmente riuscirci come prima nel girone. Partivamo come terza forza, abbiamo fatto un buon cammino finora».
I tifosi hanno recepito i segnali, visto che si sono riavvicinati alla squadra e ricominciano a frequentare lo stadio.
«Questo mi fa enormemente piacere. Su questo argomento ho parlato chiaro ai calciatori: i tifosi vanno coinvolti. Quando giochi nella Roma riesci a capire cosa significhi questa maglia, non prima. Qui vieni criticato quando le cose non vanno bene: è successo anche a me e potrà succedere ancora, anche se io spero di no. Ma i tifosi ti amano, ti perdonano e ti sostengono sempre. Per meritarli, devi sempre trascinarli con le prestazioni, con l’impegno in campo. Beh, ci siamo riusciti se siamo usciti tra gli applausi anche dopo le partite perse».
Con Totti dirigente che rapporto si è creato?
«A Francesco ho dato solo un consiglio: rubare le qualità di tutti, imparare il più possibile. E lui, che è intelligente, lo sta già facendo. Ovviamente non entra nelle questioni tecniche né mi fa domande sulle formazioni. Del resto io quelle non le dico neppure ai miei collaboratori. Ma mi sta aiutando nella gestione ordinaria. Un esempio: quando andiamo allo stadio lo voglio sempre vicino sul pullman perché con il suo modo di fare stempera le tensioni del prepartita. E conosce bene i giocatori che fino a pochi mesi fa sono stati suoi compagni».
Se Di Francesco fosse arrivato un anno prima, Totti giocherebbe ancora a calcio?
«Ma non lo so… Sicuramente ci saremmo confrontati. E se avesse giocato avrebbe fatto turn over anche lui (ride). Abbiamo anche scherzato dopo che ho visto la sua partita tra vecchie glorie a Tbilisi: “France’, andavi a due all’ora”. Lui mi ha risposto: “Però correvo il doppio degli altri…”».
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