Eusebio Di Francesco

(Il Tempo – E. Menghi) Cambia la scatola, non il contenuto. La squadra confezionata da Di Francesco prima col 4-3-3, poi col 4-2-3-1 e di nuovo col 4-3-3 non cambia mai davvero faccia. La Roma è «svanita» e nessuno sa spiegare il perché. Questo è il problema più grande, dove non si conosce la causa non si può intervenire per trovare la soluzione e la modifica del modulo era uno specchietto per le allodole. Si cercava una svolta col ritorno all’assetto di spallettiana memoria, si è ottenuta la falsa illusione di una rinascita grazie ai gol di Under che nascondevano bene i difetti persistenti. Il campanello d’allarme è suonato e l’allenatore non nasconde i suoi tormenti: «Non possiamo essere tranquilli, ci aspettavamo un’altra partita e un’altra prestazione, ci siamo disuniti nel secondo tempo e mi meraviglio di questo. Nel primo tempo non abbiamo concesso nulla, ma siamo stati poco bravi in alcune giocate. Sono preoccupato perché dopo il gol siamo svaniti e ci siamo allungati. Il calcio è fatto di episodi e noi dobbiamo portarli dalla nostra parte, se si va sotto si deve avere la forza di reagire». La Roma manca di personalità, una dote che non si acquisisce con l’assetto tattico, e stanno venendo meno i leader che dovrebbero trascinare e invece sono scomparsi dal campo: «Dimostriamo di non essere una grande squadra, la colpa è dell’allenatore. Non posso essere contento di quello che stiamo facendo, non posso non sentirmi responsabile, ma non punto il dito contro qualcuno dei miei, si faranno delle analisi e si pretenderà un atteggiamento di maggiore responsabilità dai singoli. Dobbiamo chiedere di più, io sono l’allenatore e mi metto davanti a tutti come primo responsabile. Dobbiamo lavorare sull’aspetto mentale, si cercano alibi su un discorso fisico che non condivido, anche se è vero che nella ripresa siamo calati». Quando la Roma incassa finisce ko quasi sempre e Di Francesco per provare a dare una scossa attinge alla panchina a senso unico: dentro gli attaccanti, fuori i centrocampisti. Chiudere le partite con 4 punte in campo è un’abitudine che non porta vantaggi, un limite del tecnico, che toglie equilibrio alla squadra per cercare la rimonta. Una mossa disperata. La Sud è stanca e si ribella al grido di «tifiamo solo la maglia», ciò a cui ci si aggrappa quando i giocatori deludono e l’allenatore non riesce a mettere a posto le cose: «Tutti sono in discussione, io non faccio eccezione». Il rischio di vedere il quindicesimo cambio in panchina in quindici anni c’è e se ne parlerà anche oltre Oceano, dove Pallotta aspetta oggi il diesse Monchi, in primis per discutere di una nuova tecnologia per lo scouting ma inevitabilmente per parlare di cosa sta succedendo alla Roma. Perché calciatori ambiti dalle grandi d’Europa non riescono a rendere al meglio e quanta responsabilità ha Di Francesco in questa situazione che si è creata e da cui sembra impossibile, o almeno difficilissimo, uscire. «C’è qualcosa – ammette l’ex Sassuolo – che non va, ma faccio fatica a dare spiegazioni logiche in questo momento. Dobbiamo cercare di riprenderci e basta. Gli allenamenti sono fatti con ottima intensità ma non riusciamo a riportarla a livello mentale nella partita». La testa altrove di Dzeko durante il mercato era un’attenuante, ma non regge più, idem il «gennaio cinese» di Nainggolan, la notte brava di Capodanno e un infortunio trascinato, i big sono svaniti con e come la Roma.



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