Eusebio Di Francesco

(La Stampa – G. Buccheri) Il mondo di Eusebio Di Francesco è serio, coerente, curioso. E guai ad uscirne fuori altrimenti il gioco si ferma. Serietà negli atteggiamenti, coerenza nei fatti, curiosità nelle svolte tattiche e tecniche.

Si può pensare di vincere anche a Roma?
«Lo scudetto? Per ora lasciamo stare. Noi vogliamo dare fastidio: se cresceremo ancora e se passeremo esami come quello di Torino, più avanti ne parleremo».

Torino e la Juve: sabato il duello. Proviamo ad entrare in partita…
«Loro sono in crescita. La Juve è tornata cattiva e cinica, dà la sensazione di non subire mai l’avversario come nei tempi migliori: avete visto lo 0-0 con l’Inter? Non hanno vinto, ma avrebbero meritato di farlo».

Sindrome da Allianz Stadium alle porte, dunque?
«Nessuna sindrome, anche perché io penso in positivo. E, poi, con la Roma è la prima volta che me la gioco là: se c’è una sindrome, per me, può essere quella che mi avvicina all’Inter per i 7 gol presi due volte con il Sassuolo».

Il campionato la diverte?
«Lo trovo, per certi versi, inaspettato: la maggiore competitività mi stimola e credo che, per il vertice, la corsa sarà fra le prime cinque. Ci metto anche la Lazio, sebbene si sia un po’ staccata».

Un motivo perché, alla fine, alzi le braccia al cielo il Napoli…
«Il Napoli può vincere lo scudetto perché ha messo al centro di tutto il lavoro di squadra: si muovono meglio degli altri e a chi sostiene che la ripetitività ti rende prevedibile dico che la stessa ripetitività ti dà maggiori certezze».

Una ragione perché può trionfare l’Inter…
«L’Inter può essere la sorpresa: non gioca le coppe europee ed è un vantaggio non da poco. E, poi, Spalletti ha una buona rosa e idee molto chiare: non si rimane imbattuti per sedici gare per caso».

È il turno della Juve…
«La Juve è, fra l’altro, abitudine alla vittoria. E i bianconeri sono guidati da un allenatore “europeo”».

Europeo? Perché?
«Allegri lo è per come sa gestire uomini e situazioni. Viaggia con una grande consapevolezza dei propri mezzi».

Gestioni come quelle di Dybala?
«Sta cercando di aiutarlo. Dal punto di vista psicologico il tecnico bianconero è all’avanguardia».

Psicologia e tattica. O psicologia prima della tattica: come la pensa?
«Il calcio è fatto di tecnica, fisicità e psicologia. In percentuale direi 30, 30 e 40».

Quanto tempo dedica al dialogo con i giocatori?
«Il giocatore vuole capire perché deve fare qualcosa, non è come una volta: prima gli dicevi “buttati nel fuoco” e lo faceva. Adesso devi saper spiegare quello che proponi».

È stato, questo, l’aspetto che più temeva ereditando la realtà di Spalletti alla Roma?
«La difficoltà maggiore era riuscire a subentrargli con le mie idee, piuttosto che scimmiottarlo. Pensavo di impiegare più tempo…».

Un salto all’indietro: la sconfitta, amara, con l’Inter all’Olimpico di fine agosto aveva generato un po’ di malumore…
«In quindici minuti rovinammo il lavoro dell’intera settimana: quella sconfitta fa parte del già citato processo di crescita».

Processo di crescita in una città che va di corsa…
«Non è semplice staccarsi dall’ambiente che, qui, ti circonda. Ogni giorno a Roma facciamo parlare tutti, dall’ artista al cabarettista, basta saperlo e prenderlo nel modo giusto: se mi mettessi a rispondere perderei energie inutili».

Eppure si parla…
«Non ascolto mai le radio, non mi interessa. L’esperienza vissuta nella Roma da giocatore mi aiuta perché tante dinamiche non sono sconosciute».

Quello in corso sembra essere anche il campionato di chi sceglie di ruotare l’organico e di chi va avanti con i soliti noti…
«Il turnover è un rischio calcolato, un modo per far sentire tutti parte del progetto. Lo faccio io, lo fa anche Allegri: l’allenatore bianconero non cambia spesso perché vuole fare il fenomeno. Ci sono altre squadre che possono fare lo stesso, ma non vogliono farlo».

Più Ancelotti o Conte?
«Di Ancelotti mi piace la pacatezza e il rapporto che sa instaurare con i suoi ragazzi. Conte dal punto di vista motivazionale è bravissimo e sul campo un grande lavoratore: penso di pormi nel mezzo fra i due».

A proposito di Ancelotti. Riuscire ad avere continuità di lavoro nello stesso club come capitò all’ex rossonero al Milan quanto pesa?
«Pesa moltissimo. E, per questo, mi piacerebbe rimanere a Roma a lungo: questa società ha creato i presupposti per centrare traguardi prestigiosi. E come dice il direttore Monchi conta la fiducia, non il contratto in essere…».

Un veloce giro d’orizzonte. Se dovesse fare il nome del giocatore che più sta incidendo nella stagione direbbe?
«Mertens. Il belga ha cambiato il modo di fare il centravanti e sa spostare gli equilibri di una squadra».

Un po’ come Totti qualche anno fa…
«Sì, ma Francesco da ragazzo faceva l’attaccante. O, meglio, ha sempre saputo fare tutto: ricordo quando in partitella Capello lo metteva come mediano ed erano meraviglie».

Un voto al Totti dirigente?
«Lo definirei il regista dietro alla scrivania. Chiacchieriamo spesso, conosce tanti ragazzi dello spogliatoio, mi dà gli input in più su come trattarli».

Schick può essere una delle sue scommesse da vincere?
«Lo sto conoscendo, è prematuro giudicarlo. Mi ha impressionato per i suoi grandi mezzi, fisici e tecnici: ci vuole tempo e pazienza per diventare un campione. Se Allegri dice che Dybala deve crescere, pensate a quanto deve aspettare Schick».

Lei ha candidato Montella per il ruolo da prossimo ct. Perché?
«Ha le capacità per farlo. E anche lo stile».

Ha anche candidato Tommasi per la presidenza della Figc…
«Ha le qualità per capire le esigenze di tutti. E, poi, è il tempo di un ex giocatore al vertice».

Domani c’è il Toro in Coppa Italia…
«Vogliamo andare avanti perché la crescita passa attraverso gli obiettivi da raggiungere. Ditemi quante volte la Juve ha tralasciato una competizione».

Le piacciono i granata?
«Anche per loro la Coppa conta. E c’è sempre un certo Belotti là davanti».



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