(Corriere della Sera – L. Valdiserri) Siamo ossessionati dai numeri e spesso, abbagliati da una profusione di cifre, perdiamo di vista la sostanza. La Roma ha eliminato il Barcellona perché è passata alla difesa a tre o perché ha avuto la giusta mentalità? Effetto meccanico o psicologico? La qualificazione alle semifinali di Champions League ha portato con sé una sbornia epocale di adrenalina e di passione. Appena l’onda è scesa, tutti a chiedersi se Di Francesco riproporrà la difesa a tre nelle partite che mancano da qui alla fine della stagione. Siamo italiani, per noi il calcio è tattica. La qualità internazionale di Dzeko, la romanità di De Rossi, la voglia di rivincita di Manolasdopo l’autogol dell’andata. Sono le storie sotto gli occhi di tutti. Ci potresti girare un film. Ma sono argomenti da «occasionali». Il tifoso vero parla solo delle mosse di Di Francesco che hanno messo in scacco Valverde come era successo un anno fa, in Europa League, in Sassuolo-Athletic Bilbao 3-0.
Ne ha parlato anche il presidente James Pallotta, ai margini dell’incontro al Campidoglio con la sindaca Virginia Raggi: «Quello che Di Francesco ha fatto cambiando tatticamente è stato brillante, non penso che il Barcellona se lo aspettasse. Ogni calciatore ha giocato alla grande». Se il presidente ha ragione perché non ripetere l’esperimento domenica sera nel derby e poi in semifinale di Champions? Ma è davvero così importante spostare una pedina sullo scacchiere? Non c’è alcun dubbio che lo schieramento scelto per l’occasione ha messo a proprio agio gli esterni (Florenzi e Kolarov hanno volato) e rifornito Dzeko con più costanza. Avere tre difensori di ruolo ha dato alla squadra il coraggio di pressare altissimo. Evidente, in questo caso, la trasformazione di Daniele De Rossi. Da anni è accusato di «abbassare» la squadra, schiacciandosi sui due centrali e diventando un «libero» davanti alla linea difensiva. Contro il Barcellona, invece, è stato costantemente nella metà campo avversaria, così come Strootman.
Il «libero», in senso classico, l’ha fatto Manolas. Il greco centrale è stata la sorpresa della serata, la vera «mandrakata» di Di Francesco. Il regista difensivo lo ha fatto Fazio, da posizione più decentrata, meno esposto all’eventuale pressing (in vero inesistente) degli attaccanti blaugrana. Non esiste un modulo vincente a prescindere, ma quello di martedì sera era centrato e funzionale. L’altra chiave è stata l’estrema fisicità della squadra, che ha dominato il Barça sul piano atletico. Più alti, più grossi, più forti. I giallorossi hanno vinto tutti i duelli individuali. Dzeko, per esempio, ha vinto 6 duelli aerei su 6, Schick ha mancato di poco un gol di testa nel primo tempo e Manolas ha segnato il gol qualificazione su azione da calcio d’angolo. Dzeko e Schick sono due attaccanti tecnici oltre il metro e novanta e possono scambiarsi anche la posizione. Un lusso che ben pochi allenatori possono permettersi, un problema per tutte le difese. Le sostituzioni con El Shaarawy e Cengiz Under hanno portato nel finale la velocità che serviva per dare il colpo decisivo. Il modulo ha aiutato la mentalità, Di Francesco ha avuto la laurea in Champions League.
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