AS ROMA NEWS DOVBYK – Artem Dovbyk, neo attaccante della Roma, ha rilasciato un’intervista a La Gazzetta dello Sport parlando del suo approdo in giallorosso e di molto altro. Queste le sue dichiarazioni:

Dovbyk, ci racconta perché alla fine ha scelto la Roma?
«Ho deciso dopo aver parlato con Dan Friedkin. Ho avuto sensazioni buone, mi ha fatto sentire importante, dicendomi cosa si aspettava da me. Ma ho parlato pure con De Rossi e Ghisolfi, è stato importante».

Finora i Friedkin hanno investito circa 90 milioni e lei può diventare il terzo acquisto più costoso della storia della Roma. Ha contato anche la solidità societaria?
«In passato non avevo mai parlato con i proprietari del club e questo è stato importante. Mi hanno illustrato il progetto a lungo termine. Io credo in loro e loro in me. La Roma sta investendo tanto, vuole fare grandi cose. So che il futuro sarò luminoso».

Da dove nasce il soprannome The Machine?
«Mi piace lavorare in palestra e i compagni vedendomi spesso lì hanno pensato di chiamarmi così».

Alla Roma c’era Lukaku. L’eredità le pesa?
«Romelu è uno dei più grandi centravanti in Europa. Ma io non sono il nuovo Lukaku, ma Artem Dovbyk. Voglio fare del mio meglio e che la gente mi apprezzi per quello che so fare».

Ha detto che il calcio è pressione. È questa la mentalità giusta per imporsi?
«Le stagioni sono lunghe, a volte capita di giocare bene e altre male. Ci sono momenti in cui tutto va perfettamente e la gente ti adora e altri in cui arrivano le critiche. Ma bisogna saperle gestire. Il calcio senza pressioni non è calcio».

Lei era ad un passo dall’Atletico Madrid. Poi Liundovskyi, il suo agente, ha detto che non era il progetto giusto per lei. Ci spiega perché?
«Non lo era perché il rapporto che abbiamo avuto con l’Atletico non è stato dei migliori: c’erano persone che mi volevano e altre no. Non ho avvertito fiducia, al contrario invece della Roma».

Che cosa rappresenta per lei Roma e la Roma?
«Questo è il club giusto, ha ambizioni e fame. E poi c’è uno stadio bellissimo, una città meravigliosa e una tifoseria fantastica. A Roma ero stato solo una volta, durante l’ultimo Europeo. Ma era il periodo del coronavirus, e poi ero in nazionale. Sono stato tre giorni, ho visto qualcosa. Mi rifarò presto…».

Lei ha faticato un po’ ad imporsi nel grande calcio, ma alla fine ce l’ha fatta. Quanto contano carattere e personalità per diventare un top?
«In Danimarca ho avuto un infortunio (rottura del legamento crociato anteriore, ndr ) che mi ha condizionato, ma che mi ha anche reso più forte. Dopo ho iniziato a lavorare di più in palestra, a fare una vita da professionista. Il carattere mi è servito, per gli attaccanti i gol sono tutto: un centravanti che ha fiducia è un giocatore migliore».

Che cosa vuol dire aver vinto il Pichichi in Spagna. Negli ultimi 15 anni c’erano riusciti solo Lewandowski, Benzema, Messi e Ronaldo…
«E’ un trofeo che mi dà ancora più certezze. Devo ringraziare il Girona, i miei compagni e l’allenatore (Michel, ndr ) che hanno creduto in me. A inizio stagione nessuno avrebbe scommesso sul fatto che potessi riuscirci, invece ho dimostrato che nel calcio tutto è possibile. Grazie anche alla mia famiglia».

Prima di lei in Europa solo un ucraino era stato re dei bomber, Shevchenko al Milan nel 2000 e nel 2004. Ci ha parlato prima di venire in Italia?
«No, ma quando lui era il mio allenatore in nazionale mi diceva sempre che dovevo migliorare fisicamente e nei movimenti se avessi voluto giocare in uno dei primi cinque campionati europei. Ho fatto tesoro dei suoi consigli. E ho lavorato duro».

Lei e Sorloth vi rincorrete: vi siete dati il cambio al Midtjylland, poi Pichichi e infine la sfida per la Roma. A Trigoria hanno fatto bene a scegliere lei?
«In effetti è una storia divertente: ci siamo confrontati in campo, per il titolo di bomber e sul mercato. Il futuro dirà qual è la scelta giusta. Abbiamo cambiato club, vedremo chi si ambienterà prima».

Nella Lazio gioca Castellanos, di cui lei prese il posto al Girona. È già pronto per il derby?
«Tutti sanno quanto è importante il derby, sia per i tifosi sia per il club. Posso solo promettere che darò tutto me stesso per vincere questa partita».

La Roma ha come obiettivo il ritorno in Champions. Si è già prefissato un numero di gol sufficienti per trascinarla di nuovo lì?
«Un numero di gol da segnare ce l’ho in testa, ma non lo dico. Dobbiamo tornare in Champions: è un obiettivo importantissimo, da centrare a tutti i costi. La Roma manca da troppo tempo».

Le prime impressioni su Daniele De Rossi.
«Mi piace per la sua mentalità, ha fame, è ambizioso, cerca di migliorarti. Con lui si lavora intensamente, sono sicuro che mi farà crescere ancora».

La rende orgoglioso essere il primo ucraino della Roma?
«Certo, per me e per il mio Paese. Ci tengo a far vedere quanto valgo. Prima di me in Italia ci sono stati Shevchenko, Malinovskyi e Kovalenko. Ora è il mio turno, tocca a me».



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