ULTIME NOTIZIE AS ROMA FREIDKIN MOURINHO – La classifica, dopo 16 giornate, trasmette angoscia e preoccupazione: la Roma è out. Fuori dall’Europa. Anche dalla Conference League, competizione alla quale partecipa in questa stagione e da ricordare per il flop vergognoso in Norvegia contro il Bodo Glimt (6-1), scrive Il Messaggero.
In campionato, dunque, non conta. Lontanissima dalla capolista, il Milan è a +13, e dalla zona Chiampions, l’Atalanta quarta sta + 9. Già 7 le sconfitte, più quella vergognosa in coppa. E senza sapere come andrà a finire a maggio, sul traguardo. Il timore è che non ci sia l’exit strategy per un’eventuale riabilitazione. Il rischio più grande è che la situazione possa addirittura peggiorare. Lo confermano, insieme con i risultati, le prestazioni.
Spesso scadenti e non solo contro le big che, nella rosa e nel rendimento, sembrano iscritte a un altro torneo, con i giallorossi incapaci di inseguire, di reagire e comunque di essere competitivi. La sensazione è che per riprendere quota non basteranno i prossimi mesi. Di tempo, sprecato già negli anni scorsi, ce ne vorrà di più. Ed è sbagliato, lo diciamo subito per non illudere la piazza, sperare nel mercato invernale.
A gennaio non si rifà mai la squadra. E due-tre acquisti non sono sufficienti per rilanciarsi. A sopravvivere forse sì, a evitare qualche altra figuraccia. Perché a Trigoria andrebbe ribaltato il roster. Con interventi finalmente mirati e non più con errori grossolani. In 3 anni sembra improbabile, però. Il peccato originale si chiama Reynolds: è stato il primo acquisto di Tiago Pinto, sbarcato lo scorso gennaio.
Ma adesso infierire sul terzino texano sarebbe però di cattivo gusto. Semplicemente: non è adeguato per il calcio professionistico. Eppure è costato 8 milioni. Un investimento a vanvera che la Roma, con un indebitamento netto di 442,1 milioni, non si può permettere. Il suo acquisto inquadra la missione del club. Reynolds, voluto dai Friedkin e subito benedetto da Pinto, il gm preso proprio per non andare a intralciare la passione calcistica (e il ruolo in società) di Ryan, vice e figlio di Dan.
È stato chiamato a corte un giovane senza esperienze nel nostro calcio proprio per evitare sovrapposizioni. Ancora più inquietante è come è stato individuato: ci ha pensato Charles Gould, fondatore e CEO della Retexo Intelligence, compagnia specializzata nella creazione di strategie e analisi per conto di società sportive. Un cacciatore di teste che ha preso in contropiede chi frequenta Trigoria. La voglia, insomma, di stupire quando da queste parti bisognerebbe andare sul sicuro. Italiani ce ne sono e per tutti i gusti: Sartori, Giuntoli, Carnevali e altri.
Da Lisbona è invece planato il braccio destro di Rui Costa che si occupava del mercato del Benfica. Pinto si è presentato e ha subito protetto il connazionale Fonseca, scaricando invece Dzeko. Fine percorso per la Roma: 7° posto e addio Paulo. Mourinho, invece, è stato voluto direttamente da Dan Friedkin. Al mercato, solo in teoria, ha pensato il gm. Ascoltando Ryan e andando a bussare ai procuratori che hanno sempre frequentato Trigoria. E che spesso hanno fatto gli interessi propri e non quelli della società. Così, mal consigliato, Pinto ha speso 90 milioni (stanziati in 3 anni).
Solo Rui Patricio, inizialmente, è stato indicato da Mourinho, portiere appena sufficiente. Poi il flop. Da Viña a Shomurodov, riserva del Genoa. In più regali ai competitor: Pedro alla Lazio, già 6 gol stagionali, e Dzeko all’Inter, subito in doppia cifra con 11 reti (pure Florenzi al Milan…). Vecchi per età e costosi per ingaggio. Progetto che chiamano sostenibile. Per gli altri. Il colpo è stato Abraham, voluto da Mourinho dopo l’addio di Edin. Tammy si sta ambientando. Non è, dunque, pronto come Dzeko o come sarebbe stato Vlahovic, anche più giovane. Niente Xhaka, chiesto da Josè. E nessun centrocampista, con Anguissa, lasciato al Napoli per 500 mila euro. «Mi do 7,5. Sarebbe stato 8 se avessi preso anche il mediano», l’autocelebrazione di Pinto (ieri ha fatto il punto al telefono con Dan) a fine mercato.
In questo scenario, ecco Mourinho. E tanti si chiedono come mai abbia accettato la Roma in queste condizioni. Forse erano altre e nel tempo sono state tradite. Mou (in Inghilterra assicurano che lo cerca l’Everton) si è ritrovato con una squadra incompleta e ha fatto quel che poteva. Poi – tranne alcune partite – è andato in confusione, mettendoci del suo. Fare peggio di Fonseca era un’impresa. C’è riuscito, per ora: -8 punti in 16 match, 9 contando quello perso a tavolino contro il Verona.
Josè ha fatto una scelta di campo, ha puntato su dodici giocatori, scartando gli altri. Uno come Villar, titolare lo scorso anno, quest’anno in campionato è fermo a zero minuti. Stesso discorso per Mayoral. Le alternative mancano e lui non ha fatto nulla, o poco, per inventarsele. Ha solo coinvolto qualche giovane della Primavera (che ieri, insieme con Nuno Campos, ha seguito al Tre Fontane). Segnale chiaro per la proprietà.
La grande arte comunicativa non basta: è inutile crearsi solo nemici, condurre battaglie contro gli arbitri se poi in campo le soluzioni spesso sfuggono di mano. La partita contro l’Inter è stata emblematica: la squadra, certificata l’assenza di leader e campioni, ha difeso lo 0-3. Mourinho, a questo, non serve (ha bisogno di giocatori più strutturati per dare l’impronta). Anche perché i nerazzurri si sono fermati dopo meno di mezz’ora. Prima del Lecce e dell’Atalanta che, all’epoca nella ripresa, non infierirono nel 2012. Chiedere a Luis Enrique.
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