AS ROMA NEWS JUVENTUS DYBALA – L’ultima fotografia di Paulo Dybala all’Allianz Stadium è di 103 giorni fa. Esattamente del sedici maggio 2022, la partita è finita da un po’ e lui, seduto a piedi nudi in mezzo al campo con Vlahovic e Morata accanto, si gode per l’ultima volta i rumori, le luci, l’odore dell’erba su cui ha danzato e incespicato infinite volte.
Come riferisce La Gazzetta dello Sport, la storia tra la Joya e la Signora è stata lunga e intesa ma come tutte le grandi passioni anche sofferta e tormentata. L’argentino ha avuto un rapporto unico e simbiotico con i tifosi, che lo hanno amato e trattato come un idolo, altalenante e a tratti conflittuale con la società, che non gli ha mai riconosciuto quella centralità che il giocatore pensava di meritare, anteponendogli prima Cristiano Ronaldo e poi lo stesso Dusan Vlahovic.
Sono stati 7 anni colmi di esultanze, notti magiche e trofei, ma anche di delusioni, stop (tanti soprattutto nelle ultime tre stagioni, compresa la positività al Covid durata tantissimo), cadute e ripartenze. Quando Dybala arrivò nell’estate del 2015 era ancora U Picciruddu dei tempi del Palermo. Se ne è andato uomo, con un bagaglio di nozioni tattiche ma soprattutto di lezioni di vita. Il primo impatto con il mondo bianconero fu a Berlino per la finale di Champions League: sul volo di ritorno dopo la sconfitta con il Barcellona Marchisio gli disse: “Vedrai, ne giocheremo altre e vinceremo tanto anche con te”.
Il Principino fu profetico: 5 scudetti, 4 Coppe Italia e 3 Supercoppe italiane, 115 gol (decimo nella classifica marcatori all time della Juventus), la maglia numero 10 ereditata dall’amico Pogba. Il primo gol Dybala lo segnò alla Lazio nel debutto in Supercoppa, il primo in Serie A invece alla Roma: forse un’indicazione del destino. La doppietta più importante la fece al Barcellona nella sua serata top: uno show sotto gli occhi di un impotente Leo Messi.
Fin qui le gioie, i dolori iniziarono invece quando arrivò Maurizio Sarri, forse il tecnico che lo ha apprezzato di più. Paulo anticipò il rientro dalle ferie post Coppa America ma trovò un cartello vendesi sul suo armadietto: lo voleva il Manchester United, la Juventus aveva già fatto lo scambio con Romelu Lukaku. Rimase diversi giorni chiuso in casa, scoppiando anche in lacrime di fronte ai tecnici che erano andati a fargli registrare un video d’addio, e alla fine disse no.
Il gran rifiuto fu la prima vera crepa nel suo rapporto con il club bianconero, che si è poi deteriorato del tutto con la lunga telenovela per il rinnovo del contratto. Con Nedved (che gli rinfacciò pubblicamente di non fare vita da professionista) non si sono mai amati, con Arrivabene il rapporto non è invece mai decollato, anche e soprattutto per le tante frecciate in diretta tv del nuovo a.d. juventino. Qualcuno sostiene che la pietra tombale sul rinnovo venne messa dopo l’esultanza polemica con sguardo dritto in tribuna (“Cercavo un amico”, disse poi la Joya) arrivata dopo il gol segnato all’Udinese, in realtà la decisione era già stata presa: quando la Juve ha capito di poter acquistare Vlahovic a gennaio ha deciso di rimangiarsi l’accordo da dieci milioni per 4 anni già raggiunto in precedenza con Dybala.
Il resto è storia nota: il club lo ha lasciato andare a zero senza fare un’offerta, neppure al ribasso, probabilmente per paura che il giocatore potesse poi accettarla. Paulo ha sofferto, perché si vedeva oramai a Torino a vita: la casa in collina dove si era trasferito con Oriana e i cani dopo i primi anni trascorsi in pieno centro, gli amici, l’affetto della gente. Aveva persino già organizzato la festa per il rinnovo, con tanto di pregiato cadeau per i compagni di squadra (un rolex). Però alla fine ha scelto di andarsene con eleganza: il giorno della presentazione in giallorosso avrebbe potuto togliersi qualche sassolino, invece mai una parola fuori posto (al contrario di altri suoi colleghi) contro un club che gli ha dato tantissimo e una tifoseria che resterà per sempre nel suo cuore.
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