(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini) Non c’è religione al mondo che non contempli la possibilità di un intervento divino. Miracolo, una notte all’Olimpico. Miracolo è la Roma che se ne va in semifinale di Champions League come solo una volta le era riuscito nella storia, anche se bisogna usare la macchina del tempo e tornare indietro al 1984, a quando si chiamava Coppa Campioni e un Lampione bosniaco non aveva ancora cominciato a illuminare la strada. Miracolo è un bambino che chiede al papà, prima della partita: «Papà, quante volte la Roma ha battuto il Barcellona?». «Una». «Ah. Come fu il risultato?». «Tre a zero». Il bambino sorride, mette la maglia di Edin Dzeko e va allo stadio. Miracolo è un tabellino dei marcatori che una settimana dopo viene riempito con gli stessi nomi, ma stavolta tutti nella porta giusta, senza quel prefisso antipatico che inizia per aut.: De Rossi, Manolas. Miracolo è Dzeko, lui che destro e sinistro li aveva usati nella maniera corretta pure al Camp Nou. Miracolo, si dice «cudo» in bosniaco, si fa festa fino a Sarajevo. E si capisce che «cudo» può essere davvero quando l’arbitro, stavolta, un rigore lo concede: Edin va giù, la Roma lassù, fino a toccare il cielo.
STORIA RIBALTATA – La Roma di Dzeko, che ha scritto la storia del club e del torneo. E all’improvviso l’inferno diventa Paradiso, il Barcellona e quella Pulce mai battuta di Leo Messi come d’incanto si trasforma nella vittima preferita: a nessun altro club il bosniaco ha segnato più gol in Champions. Quindici è il suo totale, 6 con la Roma in questa Champions (record giallorosso), siamo a tre di fila contro quei due colori che messi insieme fanno blaugrana: i primi due servirono per leccarsi le ferite da un 6-1 e da un 4-1, l’ultimo lo racconterà Edin stesso un giorno ai nipotini, davanti a un camino fumante di Sarajevo. O forse no, perché dicono in Bosnia che «il meglio deve ancora venire, vedrete che la semifinale sarà ancora più bella – ha illuminato il Lampione – . Certo, questa notte è indimenticabile, ce la godiamo e festeggiamo, perché abbiamo fatto una cosa importante per la storia del club, per noi stessi e per i nostri meravigliosi tifosi. Io non ho un aggettivo, non riesco a trovarlo. Diciamo che è stata una gara pazza, incredibile. Nessuno credeva in noi, ma dopo il primo gol anche noi in campo abbiamo cominciato a capire qualcosa…». La Pulce tremava, non si muoveva, quasi come ipnotizzata perché attirata dalla luce che era tutta dall’altra parte. «Sono rimasto alla Roma per vivere questo genere di partite», ha raccontato Edin. L’aveva detto anche dopo gli ottavi con lo Shakhtar, decisi da lui, da chi altri sennò? «Sono felice di essere alla Roma, penso che altrettanto possa esserlo la società. Ho rinunciato ai soldi non andando al Chelsea, ma a me non interessano. Giocando così, come abbiamo fatto con il Barcellona, possiamo dire la nostra contro qualsiasi avversario. Lo dice questa gara: non ho mai visto in vita mia un Barcellona così in difficoltà. Questa Roma ha una grande mentalità, se così non fosse non avremmo mai vinto, non ci saremmo mai qualificati».
E ORA DERBY – Buona vita, allora. Buona fortuna a chi la fortuna se l’è costruita fin da bambino: «Non abbiamo vinto niente, però – ancora Dzeko –. Nessuno credeva in noi e invece siamo in semifinale. Ora l’obiettivo è la finale. Mi gusterò il sorteggio, sarà bello esserci. E sarà bello giocare domenica il derby. La testa ora va al campionato, abbiamo ancora sette partite da giocare e onestamente non so perché non riusciamo a trasferire in Serie A la mentalità che mettiamo in Champions League». Forse perché il vecchio Lampione deve pure saper centellinare le serate in cui brillare. Forse perché i miracoli per definizione non avvengono spesso. Certo che Edin se l’è saputo costruire. E allora chissà quanto sarà stato bello, per quel papà, condividere con il figlio il secondo 3-0 al Barcellona: «Hai visto? Te l’avevo detto che Edin segnava e la Roma si qualificava». Era l’unico a crederci, il bambino. L’unico dopo Dzeko.
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