(Corriere della Sera) Si affronta meglio l’enigma azero, sulle rive del mar Caspio, con l’euforia in tasca di nove punti in tre partite e un allenatore che due settimane fa era un sorcetto spaventato che squittiva nel deserto, oggi una specie di Napoleone invincibile. Una bella notizia su tutte. Edin Dzeko. Cosa sarebbe di questo amabile ragazzone e di tutto il suo bendidio calcistico se iniettato di sangue di tigre, alla Mandzukic per capirci? Ci si mangiava il fegato quasi tutte le notti l’insonne e tormentato Spalletti. Come faccio a trasformare questo delicato cammellone in una belva semidivina? La sua delicata balbuzie in tuono? Se n’è andato troppo presto Lucio, tottizzato tra cuore e testa, a metà dell’opera. E il bello Edin si sta trasformando nel sogno di Spalletti, sotto i nostri occhi romanisti, infaticabili evocatori di eroi mitologici e pipponi da pernacchia. Un leader con i piedi di fata. Non più solo caterve di gol, ma la pupilla da tigre e una città finalmente unita nel suo nome.
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