Patrik Schick

(Il Messaggero – U. Trani) I numeri contano nel calcio. Non tanto quelli dei sistemi di gioco che, comunque, hanno il loro senso per gli allenatori al momento di trovare il giusto equilibrio in campo. A incidere sul rendimento sono quelli delle statistiche di squadra, di reparto e anche individuali. Pesano alla lunga sulla classifica e in qualsiasi competizione. La premessa è mirata all’inserimento di Schick nel copione di Di Francesco. E a prescindere dalla sintonia che, per ora, non c’è con Dzeko. Perché la Roma, meritatamente al 4° posto, è come se finora non avesse potuto sfruttare l’attaccante che, nella storia del club, è l’investimento più costoso. Il ceco, protagonista con la Sampdoria l’anno scorso, ha dovuto aspettare per trovare spazio in giallorosso: colpa degli imprevisti (aritmia e doppio infortunio muscolare) che lo hanno penalizzato durante la preparazione estiva e all’inizio del campionato. Ma, quando è stato chiamato in causa dall’allenatore, non ha ancora lasciato traccia: 5 presenze e 0 gol. Succede spesso con i nuovi: gli stessi Defrel e Under ancora non hanno fatto centro.

FUORI DAL CORO – Più significativo, però, un altro dato: nei 221 minuti giocati da Patrik, la Roma non ha mai segnato. E’ successo contro il Verona, il Genoa, la Spal, il Chievo e il Cagliari. Il gol di Fazio, al fotofinish, è arrivato con lui in panchina, avendo lasciato prima del recupero al posto a Under. Ancora non è dentro la traccia: questo è evidente, lo ha ammesso lo stesso Di Francesco. Che gli dedica tempo, in campo e fuori. Il tecnico conosce bene le qualità e le caratteristiche di Schick. Ci sta lavorando per fargli trovare, prima del gol, l’intesa con i compagni. E soprattutto con Dzeko.

COPPIA D’ASSI – Bisogna ammettere: il ceco non è stato fortunato. Quando ha avuto spazio accanto al bosniaco, ha trovato il centravanti in flessione: 1 rete nelle ultime 12 partite (comprese 3 di Champions e solo 1 gol in A dal 1° ottobre). Patrik ha, però, assicurato che la convivenza con Edin va alla grande. Si capiscono perché parlano la stessa lingua che li ha aiuta in allenamento e in partita (il compagno ha giocato per 2 stagioni nella Repubblica Ceca). In più ha detto che si trova bene a destra come gli chiede l’allenatore, garantendo che, contro il Chievo, si è sentito più a suo agio quando, con l’ingresso di Dzeko, si è spostato. In campo, però, Schick ha l’abitudine di accentrarsi. E finisce per sovrapporsi al partner. Ed entrambi soffrono la presenza ingombrante dell’altro. Di sicuro la fase è di studio. Per Di Francesco e per loro (l’attacco è solo il 6° del torneo: 28 reti). E quei 149 minuti passati insieme, cioè poco più di 1 gara, sono niente per tirare le somme sulla compatibilità degli attaccanti giallorossi con maggior classe e più fisicità.

LISTA DI OPZIONI – Sono gemelli, ma non uguali. Sicuramente simili e quindi non così diversi. E giocano in fotocopia. La statura (193 centimetri il bosniaco, 187 il ceco) e la tecnica li mettono sullo stesso piano. A dividerli è soprattutto il 4-3-3 dell’allenatore. Che, nel tridente, prevede il centravanti con 2 esterni. Schick non è giocatore di fascia. Non è Mahrez nè Berardi, indicati da Di Francesco per sostituire Salah (a proposito: ieri 20° gol stagionale per Momo e bonus da 1,5 milioni per il club di Pallotta). Il mercato ha portato in dote il talento di Patrik, da preservare e attendere in questa fase cruciale. Perché, almeno attualmente, il ceco ha un senso nel sistema di gioco della Roma solo se non c’è Edin. Oppure, con il bosniaco in campo, può entrare nel 4-2-3-1 da trequartista, nel 4-3-2-1 da seconda punta e nel 4-2-4 con la formula del doppio centravanti usata nel finale contro il Chievo (26 minuti) e per un terzo della ripresa contro il Cagliari (15 minuti), esperimento che però non ha convinto. Così il tecnico, certificata la bontà del 4-3-3, cambierà il modulo solo in corsa. Ma senza mettere fretta a Schick che, con pazienza, cercherà di adattare da esterno. La differenza la deve fare proprio lì.



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