Edin Dzeko

(Corriere della Sera – G. Piacentini) Diciannove anni dopo Mario van der Ende, un altro arbitro olandese si è messo sul cammino della Roma nelle coppe europee. Allora era la Uefa (edizione 1998-99), e i giallorossi di Zeman furono eliminati dall’Atletico Madrid ai quarti di finale grazie soprattutto alle decisioni discutibili (espulsione di Wome, gol regolare annullato a Delvecchio e mancata concessione di un rigore evidente) del corpulento fischietto olandese. Stavolta, in Champions League, ci ha pensato Danny Makkelie ad arrestare sul nascere i sogni di gloria romanista, non concedendo due calci di rigore che avrebbero cambiato la storia della partita e, magari, della qualificazione alle semifinali.

Trentacinque anni, alla direzione più importante della carriera, secondo Edin Dzeko al pupillo del designatore di Champions League, Pierluigi Collina, è mancato il coraggio di fischiare contro il Barcellona al Camp Nou. Proprio lui, che nella vita di tutti i giorni fa l’ispettore di polizia e, per sua stessa ammissione, qualche volta si è trovato a dover sedare qualche rissa tra tifosi. Prima di mercoledì sera era considerato un arbitro in grande ascesa, ora rischia di pagare, a livello internazionale, gli errori contro la Roma. In patria, invece, lo scorso ottobre ha diretto il suo primo Ajax-Feyenoord dopo che, nel 2016, subì parecchie critiche per aver fischiato un rigore inesistente in favore dei Lancieri contro l’Utrecht, errore per cui poi chiese scusa. La Roma lo aveva già incrociato lo scorso anno nel 4-0 rifilato al Villarreal in Europa League: stavolta è andata decisamente peggio.



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