Edin Dzeko

(La Repubblica – F. Bocca) Era parecchio tempo che non si vedeva un Olimpico così, felice e affamato di vittorie e soddisfazioni. Il passaggio della Roma ai quarti di Champions è stata una festa, quasi una liberazione, come se la Roma avesse capito che ci può essere un futuro e che la stagione da ieri ha un senso, volge addirittura al bello. Merito di Edin Dzeko, attaccante attesissimo al varco, e che non ha tradito i cinquantamila dell’Olimpico. Il suo gol porta la Roma tra le otto migliori d’Europa, segno che una squadra poi tanto scombiccherata non è. E merito, forse anche di più, della straordinaria normalità di Eusebio Di Francesco, che alla Roma ha dato la forza della convinzione. Lui che veniva dal Sassuolo ha portato un tesoro grande così e va a ingrandire, con Allegri e il sorprendente Montella, la pattuglia dei tecnici italiani in Champions. Erano dieci anni che la Roma non arrivava fino ai quarti. D’ora in poi sarà tutto guadagnato, anche se Di Francesco ha già detto che non vuol certo accontentarsi. Insomma il bello deve ancora venire. Di Francesco se l’è giocato, il match più importante della sua ancor breve storia, con una formazione che ha trovato con pazienza. La stessa squadra della gara d’andata, nel gelo di Kharkiv, dove la Roma giocò solo mezza partita e poi crollò. Una Roma dimezzata e dal fiato corto che spesso ha pagato, in campionato e in Champions, il suo limite fisico. Ma anche la Roma che aveva già giocato e vinto contro Lazio, Chelsea e Qarabag in casa, ma soprattutto quella che si era presa il San Paolo, rilanciando la stagione. Lo stesso più o meno ha fatto Zorro Fonseca: la difesa ucraina, non certo irreprensibile, l’attacco sudamericano. È stata una partita difficile da costruire e guidare, perché a ogni palla perduta era un batticuore, con i brasiliani dello Shakhtar che subito ripartivano e affondavano, ma che per fortuna della Roma non riuscivano a concludere. Pesava sulla partita l’ansia collettiva di non prendere gol. Tanto che né Alisson, né Pyatov, nel primo tempo, erano impegnati dai vari Ferreyra o o Dzeko. E se da una parte si notava l’energumeno Nainggolan, dall’altra colpiva il tuttofare brasiliano Fred. La partita dell’ansia ha rotto così il fragile equilibrio su una di quelle fiammate che ogni tanto la accendevano. Strootman fino allora imbrigliato in corpo a corpo sulle poche mattonelle del centrocampo ha visto lungo e raggiunto Dzeko con un lancio perfetto. Che nel più classico dei contropiede se ne è andato via, bruciando gli incerti difensori ucraini e scavalcando Pyatov in uscita proprio sotto la Curva Sud, zeppa di romanisti. Il gol è stato una liberazione, lo stadio è esploso, tutti sono corsi ad abbracciare Dzeko, De Rossi è andato da Alisson. C’è stata insomma la sensazione di un forte senso di squadra e di orgoglio. L’attaccante bosniaco sentiva il peso della responsabilità, della scommessa fatta a forza su di lui: era stato Edin a rifiutare il trasferimento al Chelsea impedendo alla Roma di fare un ottimo affare. Ma l’ha ripagata con i milioni suonanti della qualificazione. E mettiamoci pure quelli di Napoli che valgono oggi il terzo posto. Dzeko ha avuto un’altra, due, tre occasioni ma senza trovare la perfezione del primo gol. E se anche non ne ha segnato un altro, l’espulsione che ha provocato di Ordets, che gli fa fallo mentre è in fuga verso la porta, vale come il gol del raddoppio. E costringe lo Shakhtar sostanzialmente alla resa definitiva. Esplode la festa dell’Olimpico, la gente già chiede chi c’è al sorteggio, oltre la Juve.



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