(Gazzetta dello Sport – P. Condò) Visto che non potremo permettercelo al Mondiale, quest’anno il classico del calcio europeo – Italia contro Spagna – ce lo gustiamo prima: nei quarti di Champions. A dir la verità c’è stato un momento, ieri a Nyon, nel quale la deriva negativa pareva così irresistibile da centrare il Grande Slam del malocchio, con un accoppiamento in Europa League fra la Lazio e l’Atletico Madrid dopo l’uscita al piano di sopra di Juve-Real e Barça-Roma. Ma la mano di Abidal è stata più leggera di quella di Shevchenko, e almeno Inzaghi potrà e dovrà accollarsi la responsabilità del (lieve) favorito nel match contro il Salisburgo. Non così Allegri, che porta la Juve alla rivincita con Ronaldo partendo da un risicato equilibrio, e tanto meno Di Francesco, che ha percepito i sospiri di sollievo dei suoi colleghi quando l’incubo Messi s’è materializzato nella casella della Roma. Nella stagione che ha ridotto le distanze fra il movimento guida e noi (quattro spagnole nei quarti contro tre italiane, e la differenza l’ha fatta l’impresa del Siviglia di Montella: sarà bene ricordare che nei due anni precedenti stavamo 4-1 e 6-0 per loro), i «difensivisti» auspicavano un derby in Champions per essere certi di avere un’italiana in semifinale. Idea astuta, ma pericolosa: quando nelle coppe si affrontano squadre dello stesso Paese i veleni scaturiscono irresistibili. Meglio così, partendo però da una premessa intellettualmente onesta: la Juve compete da settembre per il titolo, la Roma ha verosimilmente raggiunto l’attico delle sue ambizioni. Poi naturalmente te la giochi, e chiunque arrivi così avanti ha il diritto di essere considerato un candidato più o meno forte alla vittoria finale. La premessa serve a spiegare il motivo per cui, in questo affascinante ma asimmetrico confronto tra Italia e Spagna – loro puntano apertamente al titolo con due squadre, noi con una – la Roma possa dirsi sfortunata, la Juve no.
Una squadra il cui obiettivo è percorrere il tratto di strada più lungo possibile ha bisogno di sorteggi benevoli, e in questo senso il Barcellona è quanto di più distante esista dall’identikit ideale per la Roma. Una squadra che invece gioca per andare fino in fondo e vincere – un’ovvietà dopo due finali in tre anni – ha bisogno di sorteggi mirati, e in questo senso il Real Madrid è un avversario quasi ingiocabile nella partita secca, ma eliminabile nel doppio confronto. Osservo sempre con distacco i precedenti fra due squadre, perché nel dato complessivo si rischia di dare troppo peso a partite di ere geologiche ormai lontane: non c’è dubbio, però, che le quattro prevalenze consecutivedella Juve negli andata/ritorno degli ultimi 31 anni – il più recente nel 2015, cioè adesso – vogliano dire qualcosa esattamente come le due sconfitte in finale nello stesso periodo. La Juve ha più testa, il Real ha più nervi. O, più semplicemente, quando il gioco si fa duro, tenere Ronaldo è un’impresa superiore alle forze di chiunque. Ma il dato saliente, quello che ci interessa visto che stiamo parlando di quarti di finale, è che appena si presenta una situazione da interpretare Allegri è il più lesto e creativo. Merita fiducia. Considerato che il Manchester City si fa preferire al Liverpool malgrado l’idiosincrasia di Guardiola per il calcio di Klopp, e che il Bayern pare attrezzato per evitare un secondo miracolo di Montella, avanza uno scenario inedito e rivoluzionario: quattro semifinaliste di Champions che sono anche le candidate ai quattro «scudetti» più importanti, ovvero City (Inghilterra), Bayern (Germania), Juventus (Italia) e Barcellona (Spagna). Con una variante da temere, il Real al posto della Juve, e una invece per cui tifare: la Roma per il Barça.
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