Più che la protesta di un gruppo di ultrà, sembra un convegno di urbanisti. Sotto una pioggia sottile, all’ombra di Palazzo Senatorio, si aprono mappe della città: «A Tor di Valle – indica col dito Daniele Lozzi, 35 anni, ingegnere e tifoso giallorosso – c’è un rischio idrogeologico r3 ma nel reticolo secondario. All’Olimpico c’è lo stesso rischio ma nel reticolo primario. E lo stesso di Ponte Milvio. Ci sono state mai evacuazioni della popolazione a Ponte Milvio? E allora, su, di cosa stiamo parlando?». Il capannello che si forma attorno a questo giovane, sostenitore giallorosso («Ho il ciondolo col lupetto appeso al collo, guarda», dice lui) ed esperto di classificazioni del pericolo esondazioni, annuisce. In piazza del Campidoglio, d’altronde, almeno oggi sono tutti d’ accordo: lo stadio della Roma non solo va fatto «perché vogliamo essere all’altezza delle altre società europee». Ma va fatto «per la città. Lo stadio è di Roma, non dei romanisti», prosegue l’ingegner Lozzi. E attorno la gente applaude. L’adunata degli ultrà rilanciata sui social e dalle radio (solo alcune, però, perché un altro pezzo è in rotta con la società) per mettere pressione sulla maggioranza 5 Stelle ed esplicitare il sostegno al progetto di Tor di Valle non raggiunge numeri importanti. Anzi. Alla fine saranno appena un centinaio i presenti cosa che non impedirà loro di essere identificati (e successivamente denunciati) dalla Digos per «manifestazione non autorizzata». Roberto Giachetti, consigliere Dem tifosissimo giallorosso, si autodenuncia: «C’ero anch’io. Rinuncio all’immunità parlamentare». Che sarebbero accorsi nel giorno dell’incontro decisivo tra Comune e As Roma, però, era noto. Così come c’era da aspettarsi che, con un tempo non certo clemente e con lo slittamento in serata del vertice, sarebbe stata una manifestazione a ranghi ridottissimi.

Per il dispiacere dei più anziani, come “Zì Pino” («Me conoscono tutti così»), 83 anni, berretto rosso, giubbotto impermeabile coi colori giallorossi, che sotto a un ombrello se la prende un po’ con tutti: «Dov’è la curva sud? Qui dovevano stare tutti, qui. E invece nun ce stanno. Ai miei tempi ce se fracicava allo stadio». Colpa della pioggia, insomma. Il suo show a favore di telecamere mette nel mirino la giunta 5 Stelle: «Bastardi, zozzoni», urla. Se gli chiedi un giudizio sull’ex assessore Paolo Berdini, avversario dello stadio lui prima dice «nun me provocate ». Poi si lascia andare: «Basta, su questo stadio sono state dette un mucchio di menzogne. Berdini prima dice no, poi tira in ballo le periferie che non funzionano. Vergogna». Ogni tanto parte qualche coro sporadico: «Alè Roma alè» oppure anche «O Virginia, facce fa sto stadio». Si srotola uno striscione fatto apposta dagli ultrà di Testaccio: «Sì allo stadio, basta melina», è la scritta. In disparte osserva tutto Enzo Foschi, già capo segreteria di Ignazio Marino, esponente del Pd. «Ma qui sono in veste di tifoso della Roma», dice. Saluta Guido Zappavigna, un passato nella destra eversiva dei Nar, poi con Francesco Storace, oggi voce radiofonica di Retesport. Poco lontano, l’inesauribile ingegner Lozzi continua a spiegare la bontà del progetto, descrivendolo nei minimi dettagli, aiutato da un disegno dell’area interessata. «Parliamo delle opere pubbliche? – chiede ai presenti – bene, resterebbero alla città e in questo modo verrebbe sancita una nuova regola: da oggi in poi, chiunque voglia costruire a Roma lo deve fare creando opere di urbanizzazione. E sapete chi non vuole lo stadio?». Pausa studiata. «L’ingegnere Caltagirone, perché questo significherebbe sconfessare opere come Bufalotta o Porte di Roma». Attorno il suo “pubblico“, sempre più numeroso, applaude e annuisce.

(La Repubblica – M. Favale)



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