Il parere negativo? «Non è un parere negativo, non sono preoccupato», fa sapere James Pallotta da Oltreoceano, dove ha appreso della stroncatura degli uffici del Campidoglio sul progetto di Tor di Valle. Progetto al quale il magnate americano, patron dei giallorossi, tiene da morire. Tanto che, raccontano dalle parti di Trigoria, qualora lo stadio saltasse l’uomo di Boston potrebbe anche fare le valigie e mollare tutto (e Totti). E non solo perché quello, carte alla mano, non è lo stadio della Roma ma lo stadio di Pallotta, quanto perché su quell’operazione il patron romanista si gioca gran parte della reputazione e anche della possibilità di fare business. Così ieri pomeriggio, quando la Regione ha fatto uscire (con una malcelata perfidia amministrativa) la nota nella quale annunciava la bocciatura da parte degli uffici del Comune (arrivata, poi, all’indomani della richiesta di proroga di un mese, appena accordata), Pallotta si è attaccato al telefono, ha chiamato Mauro Baldissoni (il dg che tiene in pugno la società qui nella Capitale) e a sua volta Baldissoni ha chiamato il Campidoglio. «Fate una precisazione, vero?», la richiesta del manager. Che, una volta avute rassicurazioni, ha avvisato il suo presidente: «Tutto a posto, arriva la nota del Comune». Tutto a posto, però, per modo di dire. Di sicuro, alla Roma, non è piaciuto il modo in cui il Campidoglio ha gestito la comunicazione su questa vicenda.

I GIALLOROSSI Perché anche se la Roma fa di tutto per gettare acqua sul fuoco, la preoccupazione è reale. E riporta Pallotta ai giorni della Panda rossa di Ignazio Marino, quando l’allora sindaco lo citò addirittura in aula Giulio Cesare: «In questi giorni disse il chirurgo dem mi ha telefonato dall’America Pallotta: mi ha chiesto se era vero che mi sarei dimesso, perché voleva sapere che fine avrebbe fatto lo stadio». Ecco: oggi, come allora, quel progetto appare appeso ad un filo. Perché se è vero che, nell’ultima riga dell’ultima pagina del «parere unico» redatto dagli uffici di Palazzo Senatorio si lascia aperta una porticina («condizioni per addivenire ad un parere favorevole») è anche vero che quella via è quanto mai stretta. Significherebbe, in meno di 30 giorni (il termine ultimo è il 2 marzo, ma febbraio ne porta 28…), trovare una quadra sia procedurale che politica. Operazione complicata, specie vedendo i venti di burrasca che soffiano sul Campidoglio, appeso al Raggi-gate.

Eppure, nonostante tutto, alla Roma continuano a professare ottimismo. Nessuno parla ufficialmente, ma la presa di posizione era già pronta, e sarebbe uscita se non ci fosse stata la nota del Campidoglio. Visto quel comunicato («c’è la volontà di andare avanti per analizzare il dossier») anche a Trigoria dove, comunque, in piena campagna elettorale avevano già minacciato una mega richiesta di risarcimento danni in caso di stop all’operazione si sono un po’ rilassati. «Avete visto? Quel parere è propedeutico proprio alla proroga di un mese concessa dalla Regione», facevano sapere dal club giallorosso. Ma tutte le obiezioni mosse dagli uffici? La possibilità di un cambio di zona, che però farebbe ripartire l’iter daccapo? La corsa contro il tempo? «Tutto si può fare, siamo disponibili a rivedere le cubature e a sistemare le criticità evidenziate. In un mese si può fare». Sempre che, tra un mese, trovino ancora la Raggi in Campidoglio.

(Il Messaggero – E. Menicucci)



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