Il progetto dello Stadio della Roma di Tor di Valle rimane lo sfondo sul quale si agitano i personaggi della tragicommedia della Giunta Raggi. Nella giornata di ieri, finalmente, dopo oltre un mese dal primo annuncio, si è riunito il tavolo tecnico che deve trovare l’accordo fra proponenti e Campidoglio in merito al taglio delle cubature. La partenza e quella, oramai nota, del taglio del 20%. La proposta della Roma, al momento fatta propria da quella parte maggioritaria dei consiglieri 5Stelle favorevoli a un accordo, è di calcolare questo taglio sull’intero volume delle cubature ma, poi, di applicarlo direttamente e solamente alle tre torri di Libeskind, al Business Park. In termini numerici e con i conti ancora da rifinire, in sostanza, questo significherebbe tagliare 195mila metri cubi di cemento per cui le tre torri scenderebbero, come volume totale, da 695mila metri cubi a sfiorare quota mezzo milione.
Secondo le informazioni trapelate dall’incontro di ieri, l’aggiornamento del tavolo è per i primi giorni della prossima settimana per un ulteriore confronto prima di stendere una bozza condivisa da sottoporre, poi, all’altro tavolo, quello, diciamo, politico. In realtà, tuttavia, al di là degli artifici letterari e retorici, il nodo era e rimane politico. Dentro il Campidoglio targato 5Stelle ancora non si è trovato un accordo fra l’ala talebana del «no e basta» e la parte più disponibile al dialogo. Il problema rimane sempre lo stesso: in mancanza di una posizione unitaria, fino a oggi tutti gli incontri fra i proponenti e l’Amministrazione sono stati infruttuosi.
Il tempo per giungere a una soluzione è sempre più esiguo: alla data del 3 marzo restano solo 22 giorni, 16 se si tolgono i fine settimana. La questione da sciogliere è triplice: da un lato, accordarsi per il taglio alle cubature senza violare i paletti del pubblico interesse – cioè lasciando invariate le opere pubbliche indicate nella delibera di Marino e Caudo – e facendo, ovviamente, rimanere l’intero progetto in equilibrio economico e finanziario. L’altra, successiva alla prima, è quella di identificare la strada da percorrere per rimuovere quel «non favorevole» nel parere unico che il Campidoglio ha espresso e depositato alla Conferenza di Servizi, prima che questa riprenda.
L’ultimo passaggio, poi, sarà quello della variante urbanistica. Berdini, nella sua memoria di Giunta (totalmente disattesa e ignorata) dello scorso 16 settembre, aveva identificato una serie di passaggi (Giunta, Commissioni, Municipi, voto in Aula) che avrebbero richiesto un mese di tempo per essere completato. A questo, poi, avrebbe dovuto far seguito un periodo di 30 giorni di pubblicazione della delibera di variante più altri 30 giorni per consentire la presentazione delle eventuali osservazioni da parte di comitati, associazioni e cittadini. Dopo di che, il Comune, all’interno della Conferenza di Servizi, avrebbe dovuto provvedere ad approvare le controdeduzioni e, finalmente, la variante sarebbe stata effettiva.
Tutto questo lungo iter, per Berdini, doveva iniziare il 16 novembre per concludersi esattamente il 6 marzo, giorno di chiusura finale dei 180 giorni totali previsti per la Conferenza di Servizi. La variante ancora non c’è: una bozza è stata protocollata più per mettere al riparo gli uffici tecnici dal rischio di rispondere di danno erariale nell’eventualità di una causa ma, di fatto, è un testo che, semplicemente, trasforma la delibera di pubblico interesse in una variante urbanistica. E non è mai approdata neanche in Giunta. Tutta questa melina del Campidoglio, quindi, di sicuro un effetto lo ha sortito: rallentare l’iter di almeno 2 o 3 mesi.
(Il Tempo – F. Magliaro)
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