«Potete scommettere che già nel 2020 giocheremo nel nuovo impianto». «La tempistica potrebbe anche essere inferiore ai tre anni». Corrono, James Pallotta e Mauro Baldissoni, presidente e dg della Roma. Forse un po’ troppo, sulle ali dell’entusiasmo per la chiusura dell’accordo con il sindaco di Roma, Virginia Raggi, sul progetto Stadio della Roma. In realtà occorre attendere ancora gli atti scritti e formali: dal lato Campidoglio, la nuova delibera che, modificando quella di Marino del 2014, sancisca nero su bianco quali opere si faranno, la cubatura concessa, i tempi. Dal lato A.S.Roma i nuovi progetti. Il primo appuntamento è il 3 marzo: in Regione andrà in scena un nuovo penultimo atto della Conferenza di Servizi. La società è pronta a chiedere una proroga, non inferiore a un mese, forse di più. Una proroga che consenta ai giallorossi e al costruttore, Luca Parnasi, di adeguare le progettazioni. E al Campidoglio di passare dalle parole ai fatti: in Giunta e poi in Consiglio comunale. In Conferenza, poi, verrà affrontato il problema del vincolo sull’ippodromo, il cui iter è stato avviato pochi giorni fa dalla Soprintendenza alle Belle Arti: in sede di parere unico, secondo quanto trapela, il rappresentante dello Stato dovrebbe bypassare questo vincolo, rendendolo ininfluente ai fini della conclusione della Conferenza. Al di là dei formalismi giuridici, di certo toccherà aspettare almeno altri 18 mesi per superare il problema del rischio idrogeologico: prima le gare europee, poi i lavori di messa in sicurezza idraulica del Fosso del Vallerano, considerati prioritari dall’Autorità di Bacino del Tevere per dare il proprio consenso al progetto, quindi i collaudi e l’avvio, da parte della Regione e dell’Autorità, dell’iter di declassificazione delle aree. Anche perché il Comune, nel suo parere unico, ha segnalato che, senza de classificazione, non potrà procedere all’adozione della variante urbanistica. Per cui, o il Comune riformula il parere e cambiano i parametri, o, prima di poter porre la prima pietra dello Stadio, quei 18 mesi (minimi) sono il tempo che occorrerà attendere.

Si precisa, poi, anche il quadro economico che sta alla base dell’accordo fra i proponenti e Palazzo Senatorio. Il quesito è comprendere quali opere pubbliche, che generavano le cubature a compensazione, saranno sacrificate. Il primo a saltare è il finanziamento per il trasporto pubblico: il Comune prima ha chiesto la metro e poi si è reso conto che creare uno scambio non era fattibile. La Roma-Lido è della Regione, che ha finanziamenti statali e regionali pronti, ma i cui lavori di adeguamento strutturale non sono ancora neanche stati calendarizzati. Quindi, fino a che non si adegua, anche solo comprare i treni è inutile, tanto non possono girare. Addio treni, quindi, e 50 milioni di euro risparmiati. La fermata di Tor di Valle, però, deve rimanere per chi vorrà arrivare allo Stadio avventurandosi con la Roma-Lido. E va ristrutturata. Costava 13 milioni ma scende a 10, visto che non ci deve arrivare la metro B. Ultimo, il ponte. La vulgata ufficiale parla di “seconda fase“. In sostanza: se il Comune adegua per tempo la progettazione del Ponte dei Congressi, che lo Stato ha di fatto bocciato in Conferenza di Servizi, si farà quello. Sennò, il Comune potrebbe finanziare con quei soldi il Ponte di Traiano del progetto, già inserito a suo tempo nel Piano Regolatore. Si allunga invece l’ unificazione della via del Mare/Ostiense. E dopo essere rimasto in silenzio alla finestra per tutti questi mesi, si affaccia il presidente della Lazio, Claudio Lotito, che vuole la “par condicio” e scarta il Flaminio.

(Il Tempo – F. Magliaro)



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