(Gazzetta dello Sport – M. Cecchini) «Il Qarabag è qualcosa di più di una squadra: è un modo perché la nostra storia non sia dimenticata». Gurban Gurbanov, 45 anni, viene descritto come allenatore burbero, ma le sue parole sono la chiave per entrare in un racconto che vede evaporare in fretta i 5 titoli azeri – gli ultimi 4 dei quali consecutivi – e le 6 Coppe nazionali, persino la storica qualificazione alla fase a gironi della Championseliminando il Copenaghen. La storia degli «Atlilar», i Cavalieri – è questo il soprannome dei bianconeri – parla invece di altro. Di un conflitto silenzioso in cui, dal 1992 al 1994 sono morte oltre trentamila persone e ha provocato quasi un milione di profughi detti IDP (Internally Displaced People), cioè sfollati che non hanno varcato confini internazionali. Una cosa è certa: la città in cui il Qarabag è nato non esiste più. Anzi, Agdam è diventata una città fantasma dopo essere stata rasa al suolo durante il conflitto tra Azerbaigian ed Armenia. Motivo? Il Nagorno-Qarabag in quel periodo decise di rendersi indipendente dall’Azerbaigian e di fatto unirsi virtualmente all’Armenia, che durante gli scontri prima distrusse e ribattezzò (ora si chiama Akna) la città che nel 1951 era stata la culla della squadra chiamata domani ad affrontare la Romae che nel conflitto ha pagato un prezzo di sangue anche tra calciatori e allenatori.

I PROFUGHI – Adesso il Nagorno-Qarabag è una repubblica indipendente, non riconosciuta da nessuno stato Onu, che funge da cuscinetto fra i due Stati rivali, anche se nell’orbita dell’Armenia. Come spesso accade, in questa vicenda non ci sono buoni e cattivi, ma troppi orrori dovuti alla pulizia etnica. Di sicuro, il Qarabag – inteso come squadra – ha perso le proprie radici perché da tempo Baku, la capitale, è diventata la casa un club tuttavia diverso dagli altri, proprio perché i reduci, gli «esiliati» hanno ancora ruoli societari che riconducono al passato, a quella che era la squadra dei profughi, che un tempo venivano portati allo stadio in pullman per tifare. Ora, grazie ad Abdullbari Gozal, magnate iraniano di origini turche alla guida dell’Azersun Holding, è diventata la squadra fiore all’occhiello dello Stato, fulcro della nazionale, che vanta una rosa (del valore di circa 18 milioni) ricca di 14 tra stranieri e atleti di doppio passaporto, in cui spiccano i centrocampisti spagnoli Michel e Quintana, oltre al norvegese Elyonoussi e il sudafricano Ndlovu, attaccanti. Quanto basta perché domani siano quasi in 50.000 allo stadio Olimpico (e non nel proprio, il Baharamov) per cercare quell’impresa che non riuscì nel 2014 contro l’Inter, in Europa League. Finì 0-0 e al Qarabag fu annullato nel recupero un gol valido che le avrebbe consentito di superare il turno al posto del Dnipro, poi addirittura finalista. Perciò meglio restare concentrati, perché da queste parti niente viene dimenticato.



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