(Il Messaggero – M. Ferretti) Sciarpetta e mammatrone. Tutto in automatico, quando gioca l’inaffidabile Roma. Specie se c’è di mezzo una partita da dentro o fuori, da tutto o niente, da gioia o dolore come quella contro lo Shakhtar. In certi casi, è impossibile andare allo stadio o piazzarsi davanti alla tv senza lo stomaco strizzato dalla tensione, dal timore che tutto o nulla possa accadere. Colpa della Roma; o, per meglio dire, colpa della sua incoerenza, dei suoi voltafaccia, dei suoi tanti, troppi vorrei ma non ci riesco. Come accaduto nella partita d’andata contro gli ucraini: un primo tempo chic, il secondo choc. E qualificazione ai quarti in bilico, non troppo lontana ma neppure così vicina. Ascolti l’inno, ammiri la sciarpata, guardi le squadre entrare in campo e, puntuale, ti (ri)assale il mammatrone.
DOLORE E PIACERE – Comincia la partita, cerchi di cogliere segnali di un solo tipo, vedi che la Roma ci prova ma che pure gli avversari non stanno a guardare. Ti arrabbi per un passaggio sbagliato, ma benedici pure l’errore dell’ucraino. Non capisci bene che piega abbia preso la partita, ti consola non aver subito reti ma ti manda al manicomio pure andare negli spogliatoi per l’intervallo senza una tua rete. Sempre più in bilico, la faccenda. Con gli ucraini, però, a soli quarantacinque minuti dal traguardo. Così, mentre aspetti che la partita riprenda, cominci a metterti nei panni di Eusebio Di Francesco: immagini questo al posto di quello, speri che muovendo qualche pedina la situazione migliori. Lo speri, certo, ma non ne hai la minima certezza. Perché della Roma non ti fidi. Per niente. Ti vengono in mente solo cose negative, quelle belle non ti azzardi neppure a pensarle. Forse perché temi che possano portare male. E si ricomincia. Quando vedi Dzeko volare, solo soletto, verso la porta dello Shakhtar ti si blocca il respiro, ma quando capisci che il pallone è passato tra le gambe di Pyatov ritrovi in un amen tutto il fiato del mondo. Roma avanti. Guardi l’orologio, manca ancora una vita. Poi lo Shakhtar rimane in dieci, ti illudi che tutto a quel punto sia più facile ma in realtà è l’esatto contrario perché gli ucraini caricano a testa bassa e quelli della Roma ormai non si reggono quasi più in piedi. Ma questa è una serata magica, e lo capisci da come vanno le cose negli ultimi secondi di gioco. Fischio finale. Roma è tra le prime otto d’Europa, non accadeva da dieci anni. Non poteva che finire così. E il mammatrone, per una volta, sembra perfino piacevole.
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