Quando il primo settembre del 2015, Emerson Palmieri – dopo che la Roma lo ha ufficializzato – si definì un nuovo guerriero giallorosso, molti di noi lo hanno preso per un pazzo visionario. Ambizioso, di sicuro. Incauto per tanti. Perché quel ragazzo, classe 94, arrivato in prestito dal Santos dopo aver giocato solo nove partite nel Palermo, non aveva ancora il fisico per occupare un ruolo importante e mancante come quello di esterno sinistro. Poi, sempre quel giorno, in maniera tanto ambiziosa ha nominato Cafu («è il mio idolo») che, da queste parti, ha contato un bel po’, e apriti cielo. Se Cafu non è stato nemmeno apprezzato da tutti, figuriamoci Emerson Palmieri, il dubbio amletico. Poi, per certi versi, quelle aspettative negative si sono rivelate reali. Almeno per un po’.
IL MAESTRO SPALLETTI Quei maligni non si erano sbagliati poi così tanto: il brasiliano non è stato nemmeno scartato, è rimasto chiuso in naftalina, poche presenze (8 nella prima stagione), una scarsissima considerazione da parte di Garcia, il primo a ritenerlo inadeguato. Ma poi – come cantava qualcuno – all’improvviso sei arrivato tu, ovvero Spalletti. Che un po’ di più, e pian piano, lo ha trasformato in un giocatore vero, magari spingendolo troppo all’inizio (preliminare di Champions League), quando non era ancora pronto. Chissà cosa ci sarebbe stato scritto nel suo destino se non si fosse infortunato Mario Rui? Di sicuro, lo stop imprevisto del portoghese gli ha aperto la strada e Emerson ne ha approfittato: è diventato pian piano un calciatore affidabile e in questo percorso è stato certamente aiutato anche dal modo di giocare della Roma. Sta imparando a difendere, ha una buona corsa, un ottimo tiro, si trova sicuramente meglio come esterno di una difesa con tre centrali. E’ in fase di miglioramento continuo: oggi è più sicuro, spavaldo, riesce a gestire i tempi offensivi da quelli difensivi, vince contrasti (35 palle recuperate nelle ultime 5 partite), crossa con regolarità, anche se assist veri e propri ancora non si vedono. Parliamo dello stesso giocatore che in agosto aveva – non solo lui ovviamente – offuscato i sogni della Roma europea, con quella doppia sfida con il Porto: un rigore procurato e un cartellino rosso tra andata e ritorno del playoff di Champions League. Non era pronto, evidentemente, non c’è nulla di male a pensarlo e dirlo. E ribadirlo anche oggi.
PAGARE PEGNO Nessuno lo ha «ammazzato», molti – tifosi compresi – lo hanno solo criticato e forse non hanno accettato/capito la scelta di Spalletti di forzare i tempi. Il ragazzo aveva qualità, forse bisognava solo aspettare un po’ di più e Spalletti lo aveva capito visto che, dalla seconda alla ottava giornata di campionato, il brasiliano è stato in panchina in cinque partite su sei (Cagliari, Sampdoria, Fiorentina, Torino e Inter) e la sesta (Crotone) l’ha giocata solo dieci minuti. Dal Napoli a gli è cambiata la vita: nove volte titolare su dodici gare, calcolando che una (Bologna) l’ha saltata per infortunio e in due occasioni (Palermo e Empoli) Spalletti lo ha schierato a destra.
«PALMIERI, NO GRAZIE» Oggi Emerson, così vuole essere chiamato tralasciando l’italiano che è in lui («è il nome della mia famiglia, da parte di mia madre. Palmieri è il mio cognome italiano. Ho origini italiane, anche se non so esattamente da quale parte dell’Italia provenivano i miei antenati»), è diventato un punto di forza della Roma. Alle spalle ha già 17 presenze complessive, 879 minuti in campionato (dodici partite), 193 in Europa League (tre gare) e 55 in quel nefasto preliminare di Champions (due presenze). Il doppio dei tempi di Garcia. Quanto ai gol, siamo fermi a uno: contro il Milan a San Siro, ultima giornata del passato campionato. Non male come prima volta.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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