(Il Messaggero – U. Trani) A proposito di record che piacciono tanto in città, eccone uno anche per lui. E in Europa, dove sembra essere più ispirato di quanto lo sia stato finora in Italia. Di Francesco ha fatto in fretta a mettere il nuovo primato in cassaforte, per non essere sminuito nel confronto con i celebrati (e anche rimpianti) predecessori. Nessuno nella storia della Roma in Champions, scritta nelle sue 10 partecipazioni alla fase a gironi più da umiliazioni che da imprese, era riuscito a conservare l’imbattibilità fino alla terza giornata. Eusebio ha subito calato il tris e soprattutto non si è inchinato davanti alle favorite del gruppo C. Ha pareggiato all’Olimpico, nella notte del suo debutto nella competizione, contro l’Atletico Madrid, e ha concesso il bis a Stamford Bridgecontro il Chelsea. In mezzo il successo di Baku contro il Qarabag che scontato non è stato affatto ed è servito per interrompere il digiuno esterno durato quasi 7 anni. E’ vero che i 5 punti non sono il massimo (nel 2006/2007, con Spalletti, in panchina, furono 6: 2 vittorie e 1 ko), ma per ora bastano per restare dietro alla squadra di Conte e staccare di 3 quella di Simeone. «La tappa di Londra, però, è solo il punto di partenza e non di arrivo. Siamo, comunque, sulla strada giusta» ha detto l’allenatore, misurato e realista, dopo lo show giallorosso in Inghilterra.
PRIMO STEP – La Champions, di solito, esalta le big. Ora, nella capitale, scatena la Roma. Merito di Di Francesco. Che, dopo l’esperienza in Europa League con il Sassuolo, si sta facendo conoscere all’estero da tecnico giallorosso. Entrambe le prestazioni contro le due grandi del gruppo C hanno certificato quanto la sua impronta sia già ben riconoscibile nel dna della squadra. E sono state disegnate dopo le uniche sconfitte stagionali. Quella del 26 agosto contro l’Inter di Spalletti e l’ultima di sabato scorso contro il Napoli di Sarri. Ovviamente diverse tra loro. Ma Eusebio ci ha sempre messo del suo. Ad esempio, nella serata più sofferta della sua gestione, ha deciso di aiutare i suoi giocatori, schiacciati dall’Atletico, cambiando il sistema di gioco: dal 4-3-3 al 3-5-2,dentro Fazio per Defrel. Il difensore in più per fare muro, restare in partita e prendersi il punto. L’umiltà lo ha premiato. Al resto ha pensato Alisson.
SVOLTA BUONA – A Londra, invece, è scesa in campo proprio la sua Roma. Non negli interpreti, considerando il numero dei titolari assenti tra infortunati e panchinari. Nell’Idea, mai così chiara e inequivocabile nello sviluppo del match. Che potrebbe diventare la Partita. La sua, come quel Sampdoria-Roma del 18 dicembre 2005, in cui Spalletti inventò Totti centravanti mascherato nel 4-2-3-1. La differenza: a Marassi,entrarono in campo i migliori, a Stamford Bridge, solo quelli che al momento stanno meglio. Così è sbocciata la prestazione più bella e significativa da quando è sulla panchina giallorossa. Con i suoi concetti quasi estremizzati: la linea difensiva alta, il baricentro spostato nella metà campo avversaria, la superiorità nel possesso palla, la rapidità nella verticalizzazione, l’uso ripetuto delle corsie, il pressing di squadra e non del singolo. Il gioco e il collettivo a esaltare i solisti e non il contrario. La via migliore per entrare in Europa da protagonista. E davanti a Conte che, per sua ammissione, sbaglia la preparazione del match, mettendo il sesto difensore, David Luiz, a centrocampo. Eusebio si limita a lanciare Gerson, alla prima da titolare in Champions. A destra, perché fisicamente adatto al duello con Alonso. Al resto hanno pensato Kolarov e Dzeko.
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