Roma che è calcio, politica e cinema. Tifo e finzione, rabbia e frustrazione. Tutto si tiene nella maschera di Massimo Ferrero, alias il Viperetta («Ero ragazzo, un costumista mi chiese se volessi recitare con Pasolini: gli risposi magari, mi toccò il fondoschiena, io lo colpii e lui godendo per il dolore iniziò a dirmi: sei una vipera, continua»). Pausa teatrale, occhi zampillanti, mano tra la zazzera bianca. «Roma è una città infartuata». Respiro profondo, sorriso beffardo: «Se Cristo si fermò a Eboli, la sindaca Virginia Raggi si è fermata a Ottavia, la sua borgata. Insomma, questa ragazza se ne dovrebbe anna’, usare lo stesso coraggio con cui accettò la sfida per farsi da parte: re-set». Urla, gesticola, scherza, recita, si fa serio, Ferrero. L’imprenditore e patron della Sampdoria, testaccino doc di 66 anni, dal suo ufficio nel cinema Adriano («Non è in vendita, ma se mi offrono 60 milioni che faccio?») dice un sacco di cose. «Voglio salvare l’Atac, sono figlio di un ferrotranviere, altro che concordato: ho un piano». Ferrero sogna di comprare l’As Roma («I ragazzi in giro mi fermano e me lo chiedono, ma io lavoro 24 ore al giorno per la Samp») ma boccia il nuovo stadio. Fuori dalla finestra piazza Cavour. Tono ieratico. «A Roma non si ride più».
Perché, Ferrero?
«E’ una città infartuata, sporca, insicura dove stuprano le donne a Villa Borghese, c’è malessere. Siamo passati dalla Dolce Vita ai thriller ».
Lei non votò il M5S?
«No, però».
Però?
«All’inizio difesi questa ragazza, la sindaca Raggi mi sembrava una coraggiosa. Ma se tu vai sulla lambretta e continui a cadere sempre io ti dico: lascia perdere e vai sul triciclo».
Questo per dire?
«Che non so per quale motivo o per colpa di chi, ma dovrebbe prendere atto di aver fallito».
Glielo ha mai detto a Grillo? A Genova frequentate gli stessi locali.
«Grillo è un genio! Ha creato un partito dal nulla e in tanti gli sono andati dietro».
Il problema del generale è l’esercito?
«Il sindaco dovrebbe essere un mito».
Viperetta sindaco di Roma?
«Ma io ho fatto le elementari. Per me il sindaco è da sempre una figura importante: io non sono un politico».
Dice che vuole salvare l’Atac.
«Mio padre era un autista, matricola 27 a 60mila lire al mese, la domenica mi portava sul 56 e mi faceva comprare il biglietto. Amo l’Atac: serve una newco, bigliettaio sui mezzi, niente concordato. Il Comune deve ascoltarmi: io sono pronto a sedermi a un tavolo».
E’ pronto anche ad acquistare la Roma?
«A Genova sto benissimo con la Sampdoria, ci sono amore e gloria. Nella vita mai dire mai, in giro per Roma tanti ragazzi mi chiedono di prenderla… Ma sto bene dove sto, eh».
Quando sembrava che il M5S dicesse no al nuovo stadio, Pallotta era pronto a vendere il club e lei si era fatto avanti.
«A me non risulta…».
Poi il Campidoglio disse sì al nuovo progetto e saltò tutto. A proposito, le piace?
«Ogni società deve avere uno stadio, da presidente di club è una battaglia che porto avanti».
Cosa ne pensa di quel progetto?
«Andavo a Tor di Valle da ragazzino, c’era l’ippodromo. Per me non è proprio la zona ideale, ce n’erano di migliori. Io non avrei scelto quell’area, ma è la mia opinione».
Come finirà?
«Temo possano nascere ancora troppi problemi, anche per colpa delle istituzioni, alla fine la Roma si stancherà e non si farà».
Ne ha parlato con Totti?
«Francesco è un amico e un genio. E’ l’ultimo dei romantici: quando gli parli della Roma gli vengono gli occhi a bambola».
E quando parlano a Ferrero di Roma?
«E’ l’arte, è la città più bella del mondo, adesso ci sono solo immondizia, topi, uno schifo. La gente non ride».
Al referendum del 4 dicembre sulle riforme lei votò Sì.
«Renzi aveva ragione a innovare e tagliare le poltrone. Il governo ha fatto cose buone ma non le comunica. Però c’è una cosa che non capisco: lo Ius soli. Ma che è? Ma come si fa?».
E’ del Pd?
«No, per esempio non mi dispiace Di Maio: lavorava al San Paolo, adesso è diventato capo politico. E’ uno cresciuto su dal niente, come me. Come il Viperetta, che non è figlio di Agnelli e nemmeno di Olivetti. Ma di una macellaia di piazza Vittorio e di un autista dell’Atac. Voglio salvarla, l’Atac. Te l’ho detto?».
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