(Leggo – M. Conidi) Ho le ginocchia sbucciate e gli occhi lucidi. Ho le ginocchia sbucciate e non so dove ho sbattuto, dove sono rotolato, se mi sono gettato oppure sono inciampato in chissà cosa. Gli occhi lucidi però lo so perché. Sono incollati su un tabellone dove dice che il mio cuore ha un 3 e il resto di una vita ingiusta 0. Allora stavolta vinco pure io, e come me tutti quelli che mi basta guardare negli occhi e potrei raccontare le loro vite, i loro amori, le loro tristezze e la loro voglia di riscatto: quelli a cui non devo dire nulla perché non c’è nulla che bisogna dirsi se non abbracciarsi e stringersi forte come fratelli nella notte, in questa notte che stanotte non fa più paura e che accende tutte le stelle più brillarelle che c’ha. Quelli come noi le ginocchia sbucciate e gli occhi lucidi ce li hanno da quando sono ragazzini. Da quando o in pratoni sconfinati con le borse della scuola facevano partite da 6 ore e mezza; che giocavano la “tedesca” pure davanti alle serrande abbassate del giovedì pomeriggio o davanti alle guardiole di portieri armati di coltelli buca palloni. Per non parlare di quegli occhi lucidi per le botte ricevute dalle nostre mamme per l’ennesimo ritardo per giocare con una maglia giallo ocra e rosso pompeiano che toglievamo malvolentieri, solo per farla lavare. Quelle ginocchia sbucciate facevano parte di noi che eravamo ai primi pugni e ai primi spintoni nei cortili di scuola, dove ci feriva di più un’offesa alla nostra squadra che un’interrogazione andata male. Quegli occhi lucidi che ci bagnavano il viso quando arrivavano i primi no, quando lei preferiva quello della Terza A e lui c’aveva pure il motorino. Ci venivano gli occhi lucidi per lei, lui, per un motorino e per tutto un destino che solo la domenica, quando prendevo due autobus o due metro per arrivare 6 ore prima allo stadio, ci ridava speranza e dignità. Quegli occhi lucidi anche di fumogeni e di dolcezza, di tamburi suonati da quelli più grandi; quanti di quei ragazzi mi mancano oggi; se chiudo gli occhi, mi diventano torrenti di lacrime e ricordi. E in questa notte, che è una notte da uomini, una notte d’amore e di affinità elettive, li saluto col pensiero e con un coro uno dopo l’altro. Fateci caso: gli unici posti dove si canta e ci si abbraccia con degli sconosciuti sono le partite e i concerti. Per questo amo il calcio, e per questo amo la musica. Viviamo in tempi che ci portano a essere sempre più chiusi, diffidenti, timorosi. E poi, per magia, di fronte a una partita cadono tutte le barriere. Non importa se sei ricco o povero, se sei di destra o di sinistra, se sei un operaio o un professionista o un ignorante. E ci accorgiamo di avere ancora occhi lucidi e ginocchia sbucciate. Le stesse cose che ci hanno spesso sconfitto anche nei cortili della vita, nei cortili del lavoro che manca, nei viali degli amori infelici, nelle strade dell’ingiustizia e della disperazione, quelle stesse ginocchia e quegli stessi occhi ora diventano segni e ferite di felicità. Perché abbiamo giocato e giochiamo tutti insieme e tutti nella stessa vita. E milioni di vite in una vita insieme ancora. Soli, noi, non lo siamo stati mai e non lo saremo mai.
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