Stadio della Roma

Dietro al braccio di ferro tra il coriaceo Berdini, che vuole lo stadio ma senza cubature extra per il business edilizio, e la sindaca, che invece strizza l’occhio al progetto così com’è, c’è la storia di un costruttore (Parnasi) “too big to fail” (troppo grande per fallire), e di una banca (Unicredit) stanca di finanziare gli sprechi di questa città.

La holding di palazzinari che ha messo la sua firma su alcuni dei più importanti progetti infrastrutturali della Capitale, dallo stadio della Roma al grattacielo Bnl sulla stazione Tiburtina, dal quartiere Eurotower alla nuova sede dell’Atac, ha consegnato in via definitiva tutta la sua preziosa eredità al primo creditore: Unicredit. Il processo, come emerge dal bilancio di Parsitalia (la capogruppo controllata dalla famiglia Parnasi), è iniziato da oltre un anno quando la società ha cominciato a cedere al veicolo Capital Dev (di cui Unicredit detiene la totalità delle azioni) le sue partecipazioni immobiliari.

Dentro Capital Dev sono finite quindi la Parsec, proprietaria dei 15mila metri quadri su cui dovrebbe sorgere il centro commerciale Laurentino; la Pisana srl, titolare di diritti nella zona del Pescaccio; la Samar, proprietaria di terreni al Fleming; il Parco delle Acacie, altri 15mila metri quadrati di terreno a Pietralata; la Cave Nuove, titolare di un progetto di sviluppo del Pescaccio che può raggiungere i 245mila metri quadrati; per finire con la società Istica, che vanta invece interessi in Sicilia.

Tutti beni, concessioni, diritti edificatori che saranno messi in vendita da Unicredit per rientrare della spaventosa esposizione del gruppo Parnasi: 700 milioni di euro. Analizzando i bilanci della Capital Dev, si scopre infatti che nei primi mesi di quest’anno molte di queste partecipazioni sono state svalutate. Nulla di nuovo per questa famiglia di costruttori che, nonostante rapporti privilegiati con la politica, le istituzioni e le banche, ha accumulato in pochi anni centinaia di milioni di perdite (283 milioni sono soltanto i debiti della capogruppo Parsitalia, mentre la Parnasi Costruzioni srl ha chiuso il 2015 con una perdita di 127 milioni).

Adesso il tempo è scaduto e Unicredit vuole passare all’incasso, cercando almeno in parte di curarsi le ferite. Da qui la decisione di mettere in vendita questo cimitero di elefanti, dal quale è stato però stralciato il nuovo stadio della Roma. Lo stadio rappresenta un business troppo grosso per finire nella società che raccoglie le merci in saldo del gruppo Parnasi e insieme un’occasione per la stessa Unicredit di dare un senso alle perdite accumulate dalla partnership siglata con il costruttore. Il progetto prevede infatti un investimento privato di 1,6 miliardi di euro (di cui 440 milioni destinati a miglioramenti infrastrutturali) capace — dice uno studio dell’università la Sapienza — di generare un aumento del Pil cittadino nei primi tre anni pari a 5,7 miliardi.

La sua realizzazione diventa così strategica per tanti soggetti: il presidente James Pallotta, che sullo stadio ha riempito di senso il suo investimento nella As Roma; Parnasi, che vede nel mega progetto l’ultima occasione di rilancio imprenditoriale; Unicredit, intenzionata a ribaltare il rapporto con una città che — a partire dalle ripetute rinegoziazioni del mutuo sulla nuova Fiera di Roma — gli ha dato più noie che gioie. Tanti interessi che oggi silenziosamente “armano” la mano di Virginia Raggi contro l’ultimo ostacolo alla costruzione dello stadio: il suo assessore Paolo Berdini.

(La Repubblica – D. Autieri)



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