Monchi

(Il Tempo – E. Menghi) Non è un rivoluzionario, ma da quando ha messo gli occhi sulla Roma qualcosa è cambiato, ed è più di una sensazione. Monchi ha ereditato il sistema di scouting da Sabatini e l’ha perfezionato, è partito da una buona base e ha posto nuove condizioni ai suoi collaboratori, perché «il mio lavoro – dice lui – è fare la differenza». Il primo mese è stato difficile, ma si è rimboccato le maniche e ha preso sotto la sua ala i dieci osservatori che ha trovato nella capitale e che ora trascorrono la maggior parte del tempo a Trigoria per garantire un confronto costante. La spalla di Monchi, Vallone, è molto diverso da Massara, è più un capo dell’area tecnica, si preoccupa della gestione dell’area scout e ha reinventato l’intero sistema creando un database accurato.

Gli osservatori vanno a vedere più partite dal vivo, con l’aiuto di una rete minore di colleghi a cui il club ricorre per espandere la propria visuale sui giocatori di tutto il mondo. Gli occhi non sono mai troppi: «A Siviglia avevamo 16 osservatori, a Roma sono 10, ma li vogliamo aumentare», conferma il diesse dalla Nuvola di Fuksas, dove ieri ha presenziato alla «prima» del libro di Daniel Pinilla, «Monchi, i segreti del Re Mida del calcio mondiale». Presto i suoi collaboratori avranno anche una «casa» tutta per loro, un ufficio a Trigoria. È solo una delle novità portate dallo spagnolo, che è onesto nel riconoscere di aver trovato «un percorso già battuto, per cui è stato più semplice.

La domanda è: «Quanto posso dare io alla Roma?». La differenza principale con chi l’ha preceduto è nel modo di fare il direttore sportivo e nelle relazioni con la squadra. Monchi si comporta come un membro dello staff tecnico, spesso favi sita ai giocatori negli spogliatoi, mangia con loro ed è lui a far visita a Di Francesco, mentre Sabatini chiamava nel suo ufficio l’allenatore di turno tutti i giorni per una chiacchierata ed era maniacale nella gestione della comunicazione. Ramon preferisce non mettere bocca sul capitolo interviste. Il rapporto con Totti è «buono, mi ha reso facile l’arrivo a Roma. Possiamo continuare a lavorare insieme. Lo vorrebbero tutti da giocatore, io sono fortunato perché l’ho avuto prima e dopo». Ora sta blindando i gioielli: «Non è stato difficile perché tutti vogliono rimanere qui. Per Florenzi non so quanto ci vorrà, speriamo di continuare insieme per tanti anni».

Con Di Francesco è presto per aprire il capitolo rinnovo: «La prima volta che ho parlato con Eusebio ero convinto che era l’allenatore perfetto. Siamo molto contenti, ma parlare del contratto ora è inutile, il miglior contratto è la fiducia». Le relazioni sono il suo forte. E troppo bene si è lasciato col Siviglia per pensare di tornare lì da avversario: «Meglio non pensarci altrimenti divento matto. Passare il girone è stato bellissimo, ma non possiamo fermarci qui. Secondo me questo è il momento più importante del campionato». Monchi è uno di parola e se sul mercato non si sbilancia («ancora non so se compreremo un terzino») una promessa la scrive in uno dei libri autografati: «Vinceremo».



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