(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini) E poi hai voglia a non credere alle favole, ai segni del destino, a «colui che tutto move». E’ Paradiso anche qui, come altrimenti definire per la Roma una giornata da tutto e subito, primo posto nel girone di Champions League e il via libera per lo stadio che verrà. Il canto non lo scrive Dante Alighieri, ma tale Diego Perotti, che chiude un cerchio lungo 191 giorni.
CORSI E RICORSI – Stessa porta, stessa storia, stesso Diego. Il 28 maggio è adesso. E’ in quel pallone che Perotti spedì in rete contro il Genoa, ultimo minuto dell’ultima giornata dello scorso campionato: secondo posto centrato, playoff evitati, Champions League assicurata. Da maggio a dicembre è un attimo. Totti è in tribuna a fare il tifo e non a salutare in campo, il resto è quell’atmosfera di attesa perenne che pare quasi frenare la Roma,sospesa a metà tra le notizie di Londra e un Qarabag che non strafà ma di certo non regala. E allora fa tutto Diego, che inventa dal nulla un’azione che non è in nessun manuale calcistico, è slalom speciale –esì che la stagione è quella giusta –, è Dzeko che non conclude e l’argentino invece sì: eccolo qui, stessa porta, stessa storia, stesso Diego. «E’ un momento bellissimo per noi – ha commentato alla fine il numero 8 –. Nessuno credeva all’inizio nella nostra qualificazione, ma abbiamo lavorato tanto e ce la siamo meritata. Il Qarabag era tutto in difesa, sembrava si stesse giocando davvero qualcosa. Ma noi siamo stati bravi a non perdere la testa e tutti uniti abbiamo vinto».
NUOVA VITA – Tutti per Diego e Diego per tutti. Se n’è accorta la curva Sud, che al momento della sostituzione gli ha tributato un coro. Difficile far finta di niente, perché non è mai stato così dentro Perotti. Dentro la Roma, fisicamente dentro il campo e non confinato laggiù sulla fascia, così dentro un progetto tecnico che pare esaltarne doti semi sconosciute. Dal Chelsea al Qarabag, è il secondo gol consecutivo all’Olimpico dell’argentino in Champions, lui che in carriera ne ha fatti solo tre. E’ il giocatore ad avere creato più occasioni da rete – cinque – per i compagni, il primo per dribbling riusciti (8). E’, in definitiva, un attaccante completamente ricostruito da Di Francesco. Nella scorsa stagione segnò solo una rete su azione, quella appunto del 28 maggio. Ora siamo già a quota tre. Non è una crescita casuale, è il frutto di un cambio nell’interpretazione del ruolo, come l’attore che modifica il suo modo di recitare, arricchisce il suo bagaglio, si scopre bravo anche dove pensava di . E allora non può sorprendere se l’attore, tra un allenamento e altro, rivela che sarebbe probabilmente andato via dalla Roma se da queste parti fosse rimasto Luciano Spalletti, quel regista che gli rimproverava di «mettere il musino». Ora Diego ride. Ride sempre. Il perché s’è capito (anche) ieri sera.
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