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Rassegna stampa

I tre giorni di Mourinho. Lo Special vuole restare: fino a lunedì aspetta un segnale dai Friedkin

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AS ROMA NEWS MOURINHO – Il cerchio magico è una promessa di futuro che allevia il senso di devastazione psicofisica: «Non avete perso, non ho rimpianti. Sto qua. Sto qua per voi. Sto qua e basta. Sto qua e punto». La finale è appena finita, con la sua sentenza di condanna emessa dai calci di rigore, quando José Mourinho riunisce davanti alla panchina lo staff e la squadra, scrive il Corriere dello Sport.

Grida, gesticola. Ha bisogno di sfogare la delusione e soprattutto sente il dovere di rassicurare i giocatori tramortiti dallo shock. Papà non vi lascia soli. Questo aveva anticipato ai capitani, Pellegrini e Mancini, prima dell’appuntamento con la storia. Erano stati loro, evidentemente delegati della squadra, a chiedere un incontro per parlare di progetti. Mourinho ha risposto senza indugi: «Tranquilli, resto alla Roma». Ed è la frase che i 25.000 tifosi arrivati a Budapest, i 60.000 dell’Olimpico, i romanisti di tutto il mondo volevano sentir pronunciare. Chi arriva a giocare una finale, e per giunta si scioglie solo nell’acqua fredda dei calci di rigore, ha l’obbligo di interiorizzare la sconfitta per poi utilizzarla come slancio per le successive sfide. 

Ovviamente Mourinho manifesta un’intenzione ideale. E anche contrattuale, visto che ha firmato fino al 2024. Non ha altre offerte né le cercherà. Il resto spetta ai Friedkin, che dovranno decidere se e quando incontrarlo. E valuteranno se possono (o vogliono) accontentarlo seguendone i ragionamenti: per competere servono giocatori più forti, investimenti mirati anche senza fare follie. E poi va completato l’organigramma.

La Roma ha visto evaporare in una notte i sogni di coppe di campioni, come cantava Antonello Venditti, ma fino alla pacata dichiarazione di Tiago Pinto, arrivata quasi ventiquattr’ore dopo la finale, ha lasciato all’allenatore la vetrina mediatica. L’obbligo di spiegare e ringraziare e protestare.

Mourinho vorrebbe al suo fianco una figura che possa sostenerlo, trasferendo regolarmente all’esterno la linea politica del club. Un personaggio come Maldini o Javier Zanetti. O magari più semplicemente Totti, che a Budapest è andato solo da tifoso con la compagna Noemi. È in effetti piuttosto bizzarro che dopo una finale amarissima nessun dirigente si sia presentato davanti alle telecamere per mandare un messaggio di partecipazione emotiva al dispiacere della gente. E della squadra. 

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Nello spogliatoio, l’altra sera, erano tutti attoniti: Paulo Dybala ha lasciato la Puskas Arena dolorante alla caviglia, alla quale aveva chiesto tregua per un’ora solo per giocare, e con gli occhi ancora gonfi delle lacrime sgorgate in mondovisione. Era già l’1.45, era già un altro giorno. Poi ecco sfilare Smalling che sembrava una sfinge, i rigoristi Mancini e Ibañez che volevano nascondersi in fretta dai flash e dai telefonini, Pellegrini che non trovava la forza di esprimere a parole lo smarrimento e la frustrazione. 

Più o meno in quei minuti, mentre aspettava di salire sul pullman della Roma, Mourinho ha intravisto il gruppo arbitrale che si stava avvicinando per essere trasportato su un van bianco in hotel. Dopo aver salutato con un abbraccio il designatore, Roberto Rosetti, ha inveito contro l’inglese Taylor in tre lingue diverse: inglese, spagnolo, italiano. Si era reso conto che i giornalisti lo stavano osservando ma non se ne è curato o forse sì, chi lo sa.

Aveva bisogno di tirare fuori la sua rabbia orgogliosa. E ora si aspetta un supporto dalla società, con o senza Tiago Pinto che nel frattempo ha già ingaggiato a parametro zero il centrocampista Aouar e ha in pugno il difensore centrale N’Dicka. Sono loro i primi due pezzi della rinascita. Ma per Mourinho non bastano.

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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