Kostas Manolas

(Corriere della Sera – L. Valdiserri) La vera impresa per Edin Dzeko non è stata segnare il sesto gol della sua Champions League, conquistare il rigore del 2-0 e rimandare a casa il Barcellona. La «mission impossible» è stata far entrare una donna nella festa del dopo partita all’interno del recinto sacro dello spogliatoio. Una donna molto piccola. Sua figlia Una, due anni. Nel filmato che gira sui social, tra muscolosi tatuati e urla da assalto vichingo, Una troneggia in braccio al papà e guarda molto seria quel gruppo fracassone che si lancia addosso l’acqua, balla e canta. Se Edin è rimasto a Roma è anche per lei. E per la bellissima moglie Amra, che a gennaio, quando Dzeko sembrava un pacco destinato al Chelsea, ha dichiarato in tutti i modi il suo amore per la città e per la squadra. È stata l’alleato più prezioso per Eusebio Di Francesco, che temeva di vedere partire il bomber in nome di una plusvalenza su un calciatore di 32 anni. «Penso che anche la società sia contenta che sono rimasto», ha commentato il bosniaco, con la solita educazione, nel dopo partita. Una vittoria di famiglia.

Anche Kostantinos «Kostas» Manolas ha due bambine con la scritta «Roma» sulla carta d’identità. In un sussulto di fiducia in se stesso, che non manca certo al difensore greco, ha chiamato la prima Kostantina. Martedì ha segnato il gol del 3-0, quello del miracolo,cancellando con gli interessi l’autogol che aveva causato una settimana prima al Camp Nou. Rivincita nella rivincita. Al fischio finale ha urlato come un pazzo, si è tolto la maglia come se fosse una camicia di forza, ha abbracciato i compagni e poi ha avuto il «down». Si è seduto a torso nudo nella panchina vuota e si è messo a piangere come una fontana. Da solo. Era stato venduto anche lui, l’estate scorsa, allo Zenit San Pietroburgo, poi ha avuto un ripensamento ed è stato ceduto Ruediger al suo posto. Chiedere al Chelsea chi ci ha guadagnato. «Non mi interessa entrare nella storia della Roma, mi interessa che la squadra sia andata in semifinale. All’andata ci hanno negato due rigori, ora abbiamo dimostrato dimostrato che la Roma può battere chiunque. Ci abbiamo creduto fino in fondo e se abbiamo il nostro pubblico a sostenerci nessuno può batterci. Abbiamo bisogno di loro». Un mito greco.

Anche Daniele De Rossi aveva segnato un autogol a Barcellona e sui social ci avevano sguazzato parecchio. I laziali lo avevano chiamato De Messi. Quando c’era da battere il rigore del 2-0 si sono allontanati un po’ tutti. Dzeko ha preso il pallone, lo ha dato a Daniele e gli ha stampato un bacio sulla capoccia. Fai tu! E Daniele ha fatto. Gli era già capitato di tirare un rigore pesante come quello contro il Barça e anche di più: finale delMondiale 2006, contro la Francia, rientrando dalla squalifica per la gomitata allo statunitense McBride per la quale in molti avevano richiesto il rimpatrio coatto del «bullo di Ostia». Racconta la leggenda che De Rossi, dopo aver battuto Barthez, gli abbia sibilato un romanissimo «Mo buttace li guanti». Ha raccontato lui in un’intervista al Corriere : «Se non avessi calciato quel rigore non mi sarei mai sentito un campione del mondo». Danielino, come lo chiamano ancora, aveva 23 anni e ora ne ha 34. C’è una vita davanti per vincere con la Roma «perché quello era il mio sogno da bambino, un sogno fatto a mia misura». L’età è solo un numero, come il 3-4-3 di Di Francesco che potrebbe aver cambiato la storia della Roma.



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