La Regione Lazio, sede della Conferenza di servizi appena prorogata al 3 marzo, ieri ha pubblicato sul proprio sito il parere del Comune sul progetto definitivo dello stadio della Roma, inviato dal rappresentante unico di Roma Capitale, l’ingegner Fabio Pacciani. Atteso per un tempo lunghissimo, in cui i soggetti proponenti sono stati tenuti sulla corda tra una riunione infruttuosa e l’altra, spedito solo ad un mese dal traguardo e, ovviamente, «non favorevole». Se non è siluro, è un cazzotto che fa parecchio male.
Se sfuma lo stadio c’è il rischio che Pallotta chiuda baracca e burattini. Non preoccupano solo le condizioni che il documento pone perché il dossier Tor di Valle risulti idoneo – effettivamente per la maggior parte delle carenze elencate non sembra servano grandi stravolgimenti –, ma il tempo, pochissimo, che i soggetti proponenti hanno a disposizione. Un mese in cui, oltretutto, recepite le integrazioni, gli uffici del Comune dovrebbero formulare un nuovo parere, stavolta positivo, e a quel punto procedere con l’approvazione della variante al piano regolatore, prima in Giunta, dove troverebbe l’opposizione dell’assessore all’Urbanistica Berdini, poi in Assemblea capitolina, dove incontrerebbe lo scetticismo di molti consiglieri di maggioranza, forti oltretutto di un parere legale per cui non rischierebbero cause risarcitorie. In questo quadro, chi avrebbe il coraggio di votare una variante da un milione di metri cubi?
«Sul progetto definitivo dello stadio della Roma c’è la volontà di andare avanti per analizzare il dossier – recitava la nota diffusa ieri dal Campidoglio–. Abbiamo un mese di tempo, ci sono tutti i margini per concludere positivamente la procedura». Pallotta ci crede: «Non sono preoccupato». La società e il costruttore fanno sapere: «Abbiamo ancora fiducia che le istituzioni non vorranno lasciarsi sfuggire un investimento per la città da 1,6 miliardi di euro». Lo hanno già fatto con la candidatura olimpica, che valeva tre volte tanto.
(Gazzetta dello Sport)
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