Il secondo decennio della storia romanista nasce prematuro. Non a luglio, ma il 2 maggio del 1937: a Campo Testaccio si gioca Roma-Fiorentina, una gara che nessuno ricorderà per il 2-2 finale. Ma per l’esordio di un ragazzino di 15 anni, 9 mesi e 6 giorni: Amedeo Amadei. Un primato eguagliato soltanto 80 anni dopo, lo scorso dicembre, dal genoano Pellegri.
Ma quelli erano anni in cui le sostituzioni non esistevano, chi iniziava la partita la finiva e il quindicenne Amadei si trovò a giocarla tutta. E bene, se sette giorni dopo contro la Lucchese l’allenatore Barbesino gli affidò nuovamente una maglia giallorossa. La Roma ne uscì con le ossa rotte, 5-1: l’unico gol giallorosso, però, portava la firma di quel ragazzino arrivato alla Roma di nascosto, lasciando il campo dei Salesiani e salendo sul trenino dei Castelli per presentarsi a Testaccio a una “leva” indetta dai giallorossi. I genitori non volevano, il nonno di Amadei, Antonio, aveva sperperato tutto alle carte e il padre spese una fortuna — 30mila lire — per ricomprare il forno di famiglia. Ad Amedeo chiese di rinunciare al calcio per aiutare la famiglia con le consegne del pane, in bici. Lui la aiutò davvero, ma con i soldi del calcio: 4mila lire solo alla fine della stagione 37-38, di cui 1200 come premio per il successo sull’Inter di Meazza.
Con quell’attività alle spalle era inevitabile che il più giovane goleador della storia del calcio italiano — 15 anni, 9 mesi e 13 giorni — diventasse sulle tribune lignee del Testaccio “il fornaretto”. Restò alla Roma giusto per quel decennio, fino al ‘48. Quando quel ragazzino che andava agli allenamenti coi mezzi pubblici era diventato un uomo capace di regalare alla Roma il suo primo scudetto. Uno scudetto di guerra, quello del ‘42, iniziato in ritardo per il conflitto mondiale, e a cui la Roma arrivava reduce da un 11esimo posto. La favorita era il Bologna campione, poi l’Inter, la Juve, il Torino, il Venezia di Valentino Mazzola. Il presidente giallorosso Bazzini, uomo dell’azienda di Stato petrolifera senza esperienza alcuna di pallone, si sarebbe accontentato di «divertire il pubblico e non fare la figura dei fessi». Sembrava quasi un illuso l’allenatore ungherese Alfred Shaffer quando disse: «Datemi un centro-mediano e una mezz’ala e vinco lo scudetto». Glieli presero, Mornese e Cappellini. Le star però erano altre: il portiere Masetti, l’ala Krieziu, kosovaro arrivato in Italia dopo l’annessione dell’Albania e diventato campione. Per le malelingue, la vera firma su quello scudetto fu però l’indulgenza di Mussolini: «Una panzana, quel titolo lo abbiamo vinto perché eravamo un gruppo affiatato a cui girò tutto bene. I figli di Mussolini erano laziali e lui aveva ben altro a cui pensare», disse poi Amadei. Era il 14 giugno 1942 quando lo scudetto, per la prima volta, si bagnò nel Tevere.
(La Repubblica – M. Pinci)
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