Il capello spettinato, l’inconfondibile frangetta e l’andamento lento. Lo vedevi correre così in mezzo al campo, Franco “Ciccio” Cordova, con la fascia da capitano al braccio. È arrivato a Roma nell’estate del 1967 da “scarto” della Grande Inter, in una campagna acquisti sontuosa che contava pure un certo Fabio Capello, l’attaccante Giuliano Taccola e il brasiliano Jair.

Lui è quello rimasto per più tempo, ben nove anni, segnando di fatto tutto questo decennio. Già a quei tempi è uno con un caratterino niente male, che non ha alcun problema a esprimere le sue idee: «Se devo dire qualcosa — ha spiegato recentemente in un’intervista — e penso di dirla giusta, la dico. Se chi sta dall’altra parte se la prende, non mi interessa ». E quando, dopo una vita passata in giallorosso, una mattina si è alzato e ha letto di essere stato ceduto al Verona, ci ha messo un attimo a decidere come rispondere a quel tradimento. Come avrebbe potuto fare più male possibile? Semplice, trasferendosi alla Lazio: «Io sono romanista. Non sarei mai andato, non volevo. Mi hanno costretto. Si comportarono malissimo con me e io per orgoglio, dispetto e puntiglio presi quella decisione. E la rifarei».

Per quello che rappresentava Cordova all’epoca, praticamente è (quasi e con le dovute proporzioni) come se Totti fosse passato questa estate in biancoceleste. Una scelta impensabile, presa dopo l’ultimo di una serie di affronti subiti dall’allora presidente Anzalone, che non vedeva di buon occhio la relazione del centrocampista con Simona, la nipote dell’ex patron giallorosso, Alvaro Marchini.

A parte l’addio traumatico, Cordova è il giocatore che ha vissuto tutte le fasi di questa decade, che ha visto nel 1968 l’arrivo in panchina del “Mago” Helenio Herrera, artefice dei successi della Grande Inter. Il guru argentino però non è riuscito a ripetersi nella Capitale, dove viene ricordato più che altro per aver fatto giocare la squadra in tutte le partite con la maglia bianca: secondo lui garantiva una migliore visione di gioco.

HH, nel corso del suo travagliato rapporto con i giallorossi, ha comunque vinto una Coppa Italia al primo anno (1969) e una Coppa Anglo- italiana nel 1972. In quello stesso anno si conclude definitivamente il rapporto con il Mago, con poche soddisfazioni e il dramma della controversa morte di Giuliano Taccola negli spogliatoi (a Cagliari), per un vizio cardiaco probabilmente sottovalutato, il 16 marzo 1969.

Nel 1974 la Roma è costretta pure a veder vincere il primo scudetto ai cugini della Lazio, ma l’anno successivo, con Nils Liedholm alla guida, è arrivato un esaltante terzo posto, un “anno d’oro” con il quale la “Rometta” si dava finalmente un tono e usciva dal periodo buio. Il “Barone” se ne andò proprio nel 1977, insieme a Cordova. Due addii che hanno segnato la fine di un’epoca, cedendo il passo a un’altra. Quella di un giovane lanciato proprio dal tecnico svedese: Agostino Di Bartolomei.

(La Repubblica – M. Ercole)



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