Eusebio Di Francesco

(Leggo – R. Buffoni) In 90 anni se ne sono viste tante di Roma partite a cavallo e tornate a piedi. Squadre capaci di far sognare dopo i primi mesi di campionato, salvo poi sgretolarsi nel girone di ritorno e chiudere nel grigiore. Erano gli anni in cui il club era per i presidenti un trampolino di lancio nella politica o negli affari. E i tifosi al Circo Massimo festeggiavano i terzi posti. Poi venne Dino Viola e la storia cambiò: la Roma vinse lo scudetto e sfiorò la Coppa dei Campioni. Dopo la buia parentesi Ciarrapico, Franco Sensi riallacciò il filo Viola e la Roma rivinse, assestandosi stabilmente ai vertici della classifica. Il settimo anno della gestione americana (il sesto con Pallotta presidente dopo il primo targato Di Benedetto) ha raggiunto l’ok allo stadio, si chiuderà probabilmente ancora una volta nei quartieri alti, ma con “zero titoli” per il decimo anno di fila (digiuno record dagli anni 60 a oggi). Dopo Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Garcia e Spalletti, tocca a Di Francesco la tortura della graticola. La litania è già cominciata: «La squadra non lo segue più»; «Non cambia mai modulo»; «Andava bene solo al Sassuolo». È un film già visto con un finale scontato: avanti un altro.



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