Inutile parlare di quello che è successo, lo sanno tutti. Tutti l’hanno visto in televisione, qualcuno come me ha inghiottito una lacrima, qualcuno s’è messo a singhiozzare, altri magari hanno sorriso. Come inutile è parlare dei numeri di questo campione, basta andare su wikipedia, stanno tutti lì. Io vorrei solo tornare agli ultimi secondi della partita Roma-Genoa. L’arbitro ha fischiato e lui stava là, alla bandierina del corner, perché voleva finire la carriera palla al piede.

Dunque se l’è andata a prendere, se l’è portata via come quando da bambini c’era quello che aveva portato il pallone di cuoio e a suo piacere l’avrebbe ripreso decretando la fine dell’incontro. In realtà il capitano ha sempre e solo voluto giocare a calcio. Il resto erano orpelli fastidiosi, riempitivi noiosi di uno sport popolare che sguinzaglia giornalisti, curiosi e fancazzisti alla ricerca di pettegolezzi, prove televisive, disquisizioni infinite sul nulla. Totti ha sempre e solo voluto giocare a calcio. E allora io me lo immagino a casa il giorno dopo. Si sveglia. “E mo’ che faccio?”. Comincia il calvario. Già a colazione. Seduto a tavola, osserva il cucchiaio per lo zucchero. Quello che per tutti è il cucchiaio per lo zucchero, per il capitano è altro. Poi che fa? Me lo vedo giocare a palletta dentro casa e tirare una bomba dal corridoio alla doppia porta del salone difesa da un Neuer immaginario. Con la moglie nell’altra stanza che urla “France’! E per favore!” mentre lui esulta e si fa la telecronaca “E goaaal! Totti sblocca il risultato!” Me lo vedo che chiama gli amici “Annamose a fa’ un a partita a calciotto?”. Solo che gli amici non ci vogliono giocare.

Insomma, come si fa? Dove lo metti? Quelli magari hanno un po’ di pancia, sgambettano, qualcuno magari è anche decente, ma lui è Totti. Che fai? Tutto contro uno? Capace che perdi lo stesso. E le entrate? Che fanno, gli danno un handicap tipo: tu devi stare fermo, non puoi correre e giochi solo di tacco? È come se Alberto Tomba se ne andasse a fare una baby pista a spazzaneve al Terminillo. Esce pazzo. Non ce lo vedo al campetto sotto casa con quindici attempati sudati e col fiatone che a malapena stoppano una palla. Ecco allora che se ne va a Trigoria, a guardare gli allenamenti. E zitto non può stare. “Passala! E dagliela no? Ma non lo vedi che non pija l’effetto? Con l’esterno!” Dopo una settimana lo devono allontanare. E sempre dentro casa la palletta, e la telefonata agli amici. Francesco Totti deve giocare a calcio. Ha sempre fatto quello, quello sa fare. Mo’ dove lo fa? Può travestirsi, raggiungere un campeggio vicino al Circeo e iscriversi a una partita scapoli ammogliati. Ma già negli spogliatoi gli altri, a guardargli le gambe e il ventre piatto qualche dubbio ce l’hanno. Fugato, appena il capitano con barba e baffi finti segna al portiere degli scapoli con un cucchiaio da centrocampo. Lo allontanerebbero. Finirebbero la partita in dieci, sicuro come il sole. Anima in pena, capitano, si aggira per i campetti di calcio di periferia, come i pensionati davanti ai lavori pubblici, a commentare, a dare consigli. E nelle orecchie il boato di 70 mila persone che chiamano il suo nome, e che gli ricordano che ha segnato più di trecento goal e un’era, venticinque anni di calcio non te li togli di dosso con una doccia.

Francesco Totti deve giocare a calcio. Tiziano ha potuto dipingere fino alla vecchiaia perché quello sapeva fare. Gassman ha recitato fino alla fine perché quello sapeva fare. Lui non può. Lui si deve fermare. Come diceva un vecchio programma televisivo, big ben ha detto stop! Continueranno a vendere le sue magliette col numero dieci, molti bambini nati in questi giorni si chiameranno Francesco e Francesca, cagnolini presi da famiglie gaudenti risponderanno al nome di Totti. Poi passeranno gli anni, i capelli si imbiancheranno. Ma a lui la voglia di giocare a pallone non passerà mai. “Nonno , s’annamo a fa’du’tiri?” “Certo. Passaggi e tiri in porta e a chi segna va in porta!” Ciao Francesco, grazie per tutto il bello che ci hai regalato. Sempre nel nostro cuore, capitano, mio capitano, il nostro terribile viaggio è finito!

(Il Fatto Quotidiano – A. Manzini)



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