Se l’umore fosse quotato in borsa, i rapporti tra Spalletti e la Roma sarebbero sospesi per eccesso di ribasso. Ma siccome la “Umore Spa” non esiste ancora, i rapporti tra Spalletti e la Roma non vengono sospesi. Continuano. E potrebbero peggiorare perché non siamo più a gennaio, l’invocata chiarezza di nove mesi fa è sparita fra le bancarelle immaginarie dei mercati o mercatini estivi, per Spalletti insufficienti, per i dirigenti no. Da una parte e dall’altra c’è crisi di fiducia. Nei singoli e nel progetto. E l’umore, chimicamente trasformato in malumore, è l’unico, invisibile, condottiero di un gruppo che pare un mosaico fatto con qualche tessera indesiderata e di una squadra che non convince e non decolla (vincere 4-0 contro Crotone e Astra non è decollare, è accendere il motore in pista…). Il giovedì europeo ha fatto storcere la bocca al lontanissimo Pallotta (e non solo): Gerson prima immalinconito in panchina, poi inserito (tardi), poi bocciato ai microfoni: «Come trequartista si trova in difficoltà perché non è rapido di gambe. Io lo vedo meglio come mezzala, ma deve imparare a rincorrere l’avversario. Il problema è che adesso non ha molta fiducia». In sintesi: questo ragazzo che nasce punta e che poi faceva fare la riserva a Ronaldinho non ha rapidità di gambe per fare il trequartista e non sa ancora rincorrere l’avversario per fare la mezzala. Quindi non può giocare. Le parole di Spalletti sono state poco apprezzate dal club che ha investito 17 milioni per comprare Gerson dal Fluminense, e che in questa stagione ha avuto il piacere di apprezzarlo in campo per la miseria di 71 minuti, 0 in campionato. Sembra una pericolosa deriva di sprechi. Cui si aggiungono i limiti di Iturbe che rendono il suo oneroso acquisto ancora pesante da digerire e scomodo per Spalletti (33 i minuti giocati in campionato dal neo-paraguayano), che pure ieri l’ha difeso: «È stato Iturbe a prendersi la punizione da cui è uscita la traversa di Totti e il gol di Fazio contro l’Astra».
I nuovi su cui la Roma ha scommesso, cioè pagato, cifre importanti sono comunque ai margini: altri 17 milioni sono usciti per Alisson, mai impiegato in campionato, e Juan Jesus, titolare solo con la Samp. Finora in campionato l’ex-interista ha racimolato 122 minuti. Insomma per chi ha speso è dura vedere la panchina trasformata in una cassaforte, con almeno 30 milioni comodamente seduti in tuta ad aspettare che qualcuno gli chieda di cominciare a sudare. L’Inter non sarà ancora decisiva per l’allenatore, a meno che non diventi una Caporetto. Ma la Compagnia Pallotta non è soddisfatta del rendimento. Anzi la definiscono “indispettita”. E il presidente in persona non è soddisfatto di molte altre cose. Cose che lo fanno alzare ogni mattina, a 6.584 km da Trigoria, sempre con la luna storta e mai con un disegnatore della Disney sotto mano per chiedergli di raddrizzarla. L’imminente addio di Sabatini, per esempio, lo agita. C’è in quell’addio qualcosa di manageriale, teme Pallotta, ma forse anche qualcosa di personale. Si dice che il ds avesse in mente di lasciare la prossima settimana (pare avesse anche pensato a una conferenza di addio). Ora potrebbe rinviare i saluti. Ma potrebbe anche approfittare della sosta per liberarsi da una situazione che così commentò sibillinamente poche ore prima di Cagliari-Roma: «Come va? Male. Dentro e fuori». Sul caso Totti nessun dirigente ha preso posizione per difendere l’allenatore, che come lo scorso anno ha dovuto gestire in solitaria la questione. Mentre Ilary agitava la capitale non facendo fare una gran bella figura a Spalletti, a Pallotta e anche a suo marito, presidente, amministratore delegato e direttore generale erano addirittura a Londra: Francesco si è spiegato solo con il tecnico e un altro dirigente meno “graduato”. Se tutto questo è cenere spenta o fuoco lo vedremo presto. In campo. Anche subito.
(La Repubblica – E. Sisti/M. Pinci)
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