Uno rispunta per i saluti già densi di malinconia, l’altro si insedia con l’entusiasmo e la voglia dei primi giorni. Le «sliding doors» della Roma sia prono e chiudono per lasciar passare da una parte Walter Sabatini e dall’altra Umberto Gandini. Una staffetta simbolica, puramente casuale nella sua concomitanza, che apre la nuova fase nelle strategie giallorosse. L’ex direttore sportivo è tornato ieri pomeriggio a Trigoria per parlare alla squadra al completo dopo il rientro dei nazionali. Salutato lo staff, Sabatini è piombato in sala video per un discorso ai giocatori: più che un commiato, un’esortazione a smentire quanto aveva detto nella conferenza d’addio, «qui vincere a perdere non fa differenza ed è il mio maggiore fallimento». Il gruppo ha ascoltato in silenzio, qualcuno è sembrato commosso, ma il primo a essere colpito da questo brusco distacco è proprio il dirigente umbro, passato da «vivere per la Roma» 24 ore al giorno ad interrogarsi sul suo passato e futuro professionale.

Qualche ora prima, intanto, l’amministratore delegato Umberto Gandini è stato presentato in via informale alla stampa dal direttore generale Mauro Baldissoni e dal nuovo responsabile della comunicazione Luca Pietrafesa, in attesa che l’assemblea ratifichi la carica dell’ex dirigente milanista. Un profilo internazionale e allo stesso tempo calato alla perfezione nel contesto italiano, a differenza del predecessore americano Italo Zanzi. Gandini ha appena lasciato per «incompatibilità» gli incarichi all’Eca (era vicepresidente) e nel Consiglio strategico dell’Uefa (ma presto riceverà nuovi mandati), intanto ha iniziato a studiare il complesso sistema-Roma. «Quando ormai pensavo non potessi cambiare casacca se non all’estero – racconta – è arrivata la proposta dell’unica società italiana dove avrei potuto continuare. Un’opportunità perfetta, in un momento in cui si sta chiudendo un’epoca al Milan e in generale nel gruppo Fininvest. Le dinamiche di Roma sono molto delicate e particolari, serve un maggiore equilibrio. Mi calerò sempre di più nella realtà – continua Gandini – cercando di portare la mia esperienza. Una società come la nostra non è solo un’azienda ma una fede, proverò a entrare il prima possibile nella cultura della città». Gli obiettivi? «Restare sempre competitivi e guidare il movimento del calcio italiano sia a livello di Lega che nello scacchiere internazionale. Siamo diventati un campionato di transizione nella carriera dei giocatori, la distanza con la Premier ad esempio è sempre più ampia, ora dobbiamo rimboccarci le maniche come sistema».

E per farlo la Roma dovrà restare all’opposizione in un governo ancora controllato dalla maggioranza «lotito-tavecchiana». Al fianco della Juve, quindi? Non del tutto, visto che ai bianconeri interessa sì cambiare, ma in fondo se tutto resta com’è non è poi così male per loro. L’attacco all’impero bianconero passerà inevitabilmente per la costruzione del nuovo stadio, «un’opportunità straordinaria», a breve al vaglio della Conferenza dei Servizi. Nel frattempo si resta nel desolante Olimpico, dove la media di spettatori romanisti è scesa al di sotto delle 30mila presenze. La società sta continuando a dialogare con le istituzioni per cercare idee che riportino anche i gruppi organizzati allo stadio, ma il nodo è sempre lo stesso: gli ultrà non vogliono le barriere nelle curve e in Questura nessuno è intenzionato a rimuoverle prima di vederli rientrare e rispettare le nuove misure di sicurezza. Dai mancati ricavi al botteghino all’assenza di un main sponsor, Gandini ha consigliato a Pallotta di stampare nel frattempo sulle maglie il marchio della Raptor mentre l’ufficio commerciale sta ancora trattando con potenziali partner. Ma non al ribasso, perché gli americani preferiscono restare senza sponsor piuttosto che svalutare il proprio marchio. Una strategia che può pagare a lungo termine.

(Il Tempo – A. Austini)



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