James Pallotta

(Il Giornale – G. Malerba) Per il suo sessantesimo compleanno James Pallotta non avrebbe potuto ricevere un regalo più gradito dei quarti di finale di Champions League. Perché se il cruccio dei tifosi è soprattutto la decennale astinenza da trofei, l’obiettivo della proprietà americana è sempre stato un altro: prendere un club che della dimensione locale aveva sempre fatto il suo vanto e anche la sua forza e dargli una dimensione internazionale adeguata al rango di una capitale europea. Questa metamorfosi della Roma non poteva passare se non dalla vetrina globale per eccellenza, cioè la Champions. Che oltretutto è anche il «bancomat» da cui attingere annualmente per vivere al di sopra delle possibilità offerte da un fatturato che, in attesa dello stadio di proprietà, è molto lontano da quello di almeno sei delle altre sette sopravvissute nella competizione: a oggi il raggiungimento dei quarti garantisce ai giallorossi una settantina di milioni che renderanno più semplice il mercato estivo. A rinverdire la vocazione europea della Roma, che a queste altezze mancava dal 2007/08, per paradosso è stato un allenatore che fino a settembre la Champions l’aveva vista solo in tv. Eppure, alla prova del campo, il calcio di Eusebio Di Francesco si è rivelato molto più adatto alle grandi partite che a quelle contro avversarie di seconda fascia in cui la sua squadra deve fare gioco. Anche in Serie A Dzeko e compagni hanno più o meno ben figurato contro Juve, Napoli, Lazio e Inter, e la spiegazione non può essere che tattica.

Smentendo clamorosamente chi lo accostava a Zeman, il buon Eusebio nei grandi appuntamenti preferisce puntare sulla solidità difensiva – in Champions non ha ancora subito gol all’Olimpico – e sul cinico calcolo di lasciare il pallone agli avversari. Lo Shakhtar, ad esempio, l’ha tenuto per il 59% del tempo eppure la Roma non ha subito neanche un tiro, evento che da quando esiste il girone unico (cioè dal 2004-05) non si era più verificato. L’ingresso tra le magnifiche 8 mette in una luce diversa e migliore questa stagione che sembrava aver preso una china fallimentare, e lo stesso DiFrancesco potrebbe giovarsene per evitare un divorzio a giugno che fino a pochi giorni fa era ipotesi concreta. Ha ritrovato la squadra proprio quando sembrava averla persa e non è un caso che questo sia avvenuto quando la squadra ha ritrovato la forma. In sala stampa, a caldo, il tecnico si è tolto un sassolino dalla scarpa: «Ve lo dicevo – ha sussurrato ai detrattori – che il lavoro fatto avrebbe pagato». E adesso fino al sorteggio di domani si può sognare. Di pescare il Siviglia come fanno quasi tutti a parte (forse) Monchi, di fare un dispetto alla Juve proprio laddove alla Signora farebbe più male, ma soprattutto di arrivare fino a Kiev. «Te la immagini – diceva un tifoso all’uscita dallo stadio – una finale col Liverpool il 26 maggio?». Per i non romanisti: il Liverpool evoca la coppaCampioni persa ai rigori nel 1984, il 26 maggio la coppa Italia lasciata alla Lazio 5 anni fa. Chiudere due enormi ferite in un colpo solo sarebbe il massimo.



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