«Ora saranno i romani a farsi un’idea di questa giunta: gli accordi erano diversi. Io poi ho aspettato un cenno dalla Raggi, anche più del dovuto, hanno fatto tutto da soli. Sono stanco, io mi fermo qui». L’ultimo atto di Paolo Berdini da assessore arriva intorno alle 19: «Invia la mia lettera alle agenzie», dice alla segreteria del dipartimento Urbanistica. Tutto scritto, perché Berdini a voce ha già combinato qualche pasticcio, meglio non rischiare. Dieci righe, dense di veleno e accuse, già messe nero su bianco lunedì sera e condivise con gli amici, colleghi universitari e compagni di lungo corso. Gli stessi che a colpi di appelli hanno provato a puntellarlo in questi giorni e soprattutto a far desistere la giunta grillina dalla «più grande speculazione edilizia d’Europa». Ecco, l’affaire di Tor di Valle. Il futuro stadio. «Ho aspettato una chiamata dal Comune – si è sfogato l’urbanista con gli amici poco prima di chiudere l’esperienza sulla nave grillina – ma non si sono degnati nemmeno di invitarmi alla riunione in Campidoglio: un messaggio chiaro. Ne traggo le conseguenze». Berdini è cresciuto all’ombra del Pci fino a Rifondazione comunista. In questi mesi ha capito che il M5S non è un partito e che «le promesse elettorali non vengono prese in considerazione: si dice tutto e il contrario di tutto, il primo che si alza in piedi, Di Maio o Di Battista, detta la linea sullo stadio: ecco io non ci sto più, così non va bene».

LE REAZIONI Il braccio di ferro – iniziato con i giudizi poco lusinghieri sulle capacità della sindaca consegnati a un giornalista – ieri ha vissuto l’epilogo non proprio sorprendente. Prima, in mattinata, Berdini ha disertato la pre-giunta, poi non si è fatto vedere alla riunione con la Roma e il costruttore Parnasi. «Nessuno mi ha invitato», si è lamentato. «Macché noi lo aspettavamo», ribattono dal Comune. Virginia Raggi, nel respingere le sue dimissioni, gli aveva detto: in 48 ore scioglierò la riserva su di te. Poi la faccenda ha preso un’altra piega e un altro audio che ha inguiato ancora di più l’ex assessore. Ma lo strappo doveva essere sullo stadio. Questo Berdini lo diceva da tempo, già lo scorso 8 dicembre in un’intervista a Il Messaggero spiegò che «se si fanno i grattacieli a Tor di Valle io me ne vado». E così è stato. I grattacieli restano, Berdini no. Non a caso da ieri sera, le parole con le quali ha salutato la giunta Raggi agitano la base purista e decrescista dei pentastellati: «Mentre le periferie sprofondano in un degrado senza fine e aumenta l’emergenza abitativa, l’unica preoccupazione sembra essere lo stadio della Roma. Dovevamo riportare la città nella piena legalità e trasparenza delle decisioni urbanistiche, invece si continua sulla strada dell’urbanistica contrattata, che come è noto, ha provocato immensi danni a Roma».

L’AFFONDO Le «competenze e le idee che voleva mettere a disposizione» Berdini sono quelle che adesso rinfacciano alla sindaca Raggi i militanti più arrabbiati sui social network. Non a caso il post su Facebook della grillina, pubblicato ieri sera in coincidenza con le dimissioni dell’assessore, è proprio «sull’Urban Innovative Actions, un progetto europeo per le città innovative». Ma i commenti, nel giorno delle reazioni a catena (sì allo stadio, ciao ciao a Berdini) sono poco simpatici. L’urbanista con le sue idee radicali si porta comunque «dietro 5 o 6 consiglieri in Comune», assicura una fonte del M5S, che «adesso sono infuriati per il via libera all’operazione edilizia e queste fratture non faranno bene ai lavori dell’aula».

DA MILANO Ma al di là dei numeri in Aula Giulio Cesare, le «promesse non mantenute» a cui si riferisce Berdini sono quelle che avevano attecchito nella base più rosso-verde del Movimento 5 Stelle. Non a caso commenta Stefano Fassina, candidato della Sinistra italiana, che in campagna elettorale cercò di corteggiare (invano) l’elettorato grillino: «Le sue dimissioni dopo quelle di Marcello Minenna, sono una perdita irrecuperabile per una giunta che ha promesso di riportare l’interesse della città come principio regolatore delle scelte urbanistiche». La caccia al sostituto è partita: e ancora una volta la Casaleggio associati, quindi Milano, è in campo. Delle battaglie della prima ora del M5S ortodosso rimangono i ricordi.

(Il Messaggero – S. Canettieri)



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