La Roma non si scusa, la Juventus non s’indigna e a Nainggolan non importa nemmeno che quel video sia diventato pubblico. Insomma, ventiquattro ore dopo la loro diffusione, quei due minuti e mezzo di girato in cui il centrocampista della Roma dice «Odio la Juve» a un gruppetto di tifosi, evaporano come una bolla di sapone. Ma regalano un titolo alla settimana vissuta dal calcio italiano. Una settimana di auto incendiate, calciatori minacciati, guerriglie verbali tra ricchissimi a colpi di video e comunicati: quello del romanista è solo l’ultimo peccatuccio, un altro schiaffo forse ingenuo, forse sciocco, alla sportività. Certo, i tifosi sono insorti, quelli della Juventus, ma pure i romanisti per come è stato diffuso il filmato: “eroe” per questi, “rosicone” per gli altri, tutto utilissimo per alimentare l’odio che via social viaggia che è un piacere.
In silenzio è rimasto invece il calcio. La Procura della Federcalcio, ieri, giudicava “non lesivo” il video con le parole del centrocampista della Roma: ma in via Campania si valuta l’acquisizione del filmato per indagare sull’eventuale violazione dell’articolo 1, la slealtà sportiva per capirci. A Trigoria Nainggolan dovrebbe cavarsela invece con una ramanzina: Spalletti, che da regolamento interno deve decidere sulle eventuali multe come responsabile dello spogliatoio, lo raccontano non particolarmente indispettito dalla vicenda. Il club invece si è riservato di ricordare ai giocatori che il mondo in cui spendono i loro soldini è cambiato, che i social network su cui vivono non servono solo a scambiarsi i “mi piace” e che anche dietro due chiacchiere scambiate con qualche tifoso si nasconde l’insidia di una registrazione. Insomma, che si è calciatori 24 ore al giorno, e non solo al campo si limitano le responsabilità di un atleta.
Ma parlare di responsabilità diventa sempre più difficile quando c’è di mezzo un pallone. E sempre più difficile è pure distinguere tra gli ultrà e tutti gli altri, amalgamati in un unico tono di grigio. Il caso Nainggolan chiude una settimana in cui la parola d’ordine pare la stessa usata dal romanista: “Odio”. Quello dei tifosi del Pescara che incendiavano le auto del presidente Sebastiani: lo stesso che ha riportato due volte in serie A un club che non la giocava da 19 anni. E se pure c’è chi dubita che fosse ispirato da motivi sportivi, la vittima non pare avere riserve: «Non ritengo si possa arrivare a contestazioni simili, mi auguro che la cosa si fermi qui, ma se qualcuno è disponibile a subentrare posso vendere». E chissà che non alludesse a qualcosa di simile la curva del Bologna, firmando a Casteldebole uno striscione in cui avvertiva che «i giochi sono finiti » chiedendo ai giocatori di “Onorare la maglia”.
Una minaccia velata, mica come quella diretta, sbattuta in faccia ai laziali Keita e Tounkara. Chissà che effetto deve fare a due ragazzi di vent’anni, arrivare a Formello per allenarsi e trovare uno striscione che intima loro di «abbassare la cresta o ve la tagliamo noi». Soprattutto se a ispirare l’intimidazione firmata dalla curva (“CN12”) è una sciocchezza: una lite in discoteca – o allo stadio – con un tifoso, la “strafottenza” di rifiutare il saluto agli ultrà a fine partita.
A volte la follia dei tifosi contagia pure le proprietà. Quelle di Juve e Inter hanno preso ad accapigliarsi subito dopo la vittoria bianconera allo Stadium trasformando John Elkann e i proprietari nerazzurri in tifosi. «Stupefacente che l’Inter non sappia perdere, dovrebbe essere abituata », il graffio juventino. «Non comprendiamo perché la Juventus continui a riferirsi all’Inter quando la nostra attenzione non è mai stata su di loro», la sdegnosa replica nerazzurra (non firmata). Al vecchio derby d’Italia sarebbe bastata la coda delle squalifiche a Icardi e Perisic. Anzi, la corte sportiva d’appello ha “tagliato” ieri di un turno lo stop del croato: salterà solo l’Empoli, domani, mentre per il centravanti inchiodato dal referto del IV uomo Orsato, che ha riportato i suoi insulti all’arbitro – restano le due giornate di stop. E invece no: martedì, dopo aver posto l’accento sull’atteggiamento degli juventini in campo, Inter Channel ha svelato il coup de théâtre: il video della punizione con cui Chiellini lanciava a rete Icardi fermata senza motivi apparenti dall’arbitro, mai trasmesso dalle tv. Poi la replica di Marotta, sul non saper vincere eccetera. Nainggolan non ha fatto altro che aggiungersi al coro.
(La Repubblica – M. Pinci/A. Sorrentino)
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