Radja Nainggolan ed Edin Dzeko

Mamma quanti sono, mamma quali sono. Il mondo di Ciro inizia dove non arriva la gambona di Edin. Perché funziona così, nel calcio come nella vita: a volte non è importante quante cose fai, conta di più quali fai. Giusto per una semifinale, Immobile presta il suo cognome a Dzeko e vola in finale. Edin non fa il Ciro, la malizia non sarà mai il suo territorio fatto di dolcezze più che di astuzie, di piedini e mai di piedoni. Pare quasi logico, in fondo a un ragionamento così, che la notte di Coppa sia ora tutta biancoceleste. Ventuno (gol) sono quelli di Ciro e suonano molto più dolci di quel trentatré che a Edin è valso un record. Ma sotto il vestito ora c’è niente.

Pesi e misure La sapienza di quel 21 – la reti stagionali del laziale – è tutta di Ciro, che sotto la curva nord tra andata e ritorno ne ha piazzate due: c’è la sua firma su questo doppio derby durato 180 minuti e vinto 4-3. Vince e finisce sotto la Nord, si ferma a mo’ di statua, ammira il panorama, porta le mani alle orecchie come per ascoltare, per gustarsi l’urlo e la gioia. Gioie due, la Lazio che mira il terzo posto e in una sera rischia di essersi assicurata due finali, mica una, tra Coppa Italia e Supercoppa. Immobile corre, appoggia, sponda e riparti, vieni incontro e allunghi. Non lo prendi mai, intorno a lui balli da solo come ha ballato per un mese intero la difesa della Roma. Edin è l’equivoco che la squadra di Spalletti, per una sera, ha fatto finta di non conoscere. Quanti cross ha messo dentro la Roma, 42 racconta il totale, per un centravanti che con la testa ragiona ma non colpisce, né il pallone né tantomeno gli avversari. Dzeko le cose migliori le fa con il pallone tra i piedi. E ieri sera, neppure quelle. Resta il dato impietoso di un centravanti che ha messo in fila una stagione strepitosa, da record. Ma che nei dentro o fuori non ha mai tirato fuori il piedone di quel Pedro Manfredini che lui stesso s’è lasciato alle spalle, nella classifica dei bomber. Pensi al Porto, pensi al Lione, ora pure alla Lazio: tre doppie sfide che hanno segnato, loro sì in senso negativo, la stagione della Roma. Sei partite, neppure un gol di Dzeko, che il treno l’ha visto sfilare dopo due minuti e 25” ieri sera: tocco volante fuori, il bosniaco non è salito su e hai voglia ad aspettare la carrozza successiva. Impietoso ricordarlo ora che la squadra di Spalletti ha toccato quota 100 gol stagionali: 33 di questi sono del bosniaco, non tutti però al momento giusto, non tutti nella casella che conta. Ci sono pesi e misure, come quando vai al mercato.

Prima volta I pesi e le misure di Immobile sono in perfetto equilibrio, guai a toccarla questa bilancia che dice 12 gol nel 2017. Un anno d’oro per il centravanti («Diventerà l’attaccante italiano più forte» assicura Biglia), giustificata l’esultanza: «Vivere il derby è un’emozione incredibile. Ringrazio la gente laziale e il mister per ciò che sto vivendo. Questi gol al derby non li cambio con nulla, oggi la curva era bellissima, sognavo di fare un gol ed esultare sotto la curva». Ed è arrivato, dopo un’altra giocata decisiva: quella che aveva portato al gol di Milinkovic nel primo tempo. L’apertura e la clausura di un derby che argentino non è, parla napoletano, la lingua di Ciro, finito a festeggiare sotto la Nord. E pensare che due giorni fa a Formello neppure s’era allenato, colpa di un dolorino post Sassuolo. «Ma lui è un gladiatore, un giocatore eccezionale», dice di lui Simone Inzaghi. Gladiatore che s’è conquistato la prima finale tutta sua di una carriera che – Supercoppa di Germania a parte – non l’ha mai visto all’atto finale di una competizione. Immobile vede il trofeo ora. Per le ferie c’è tempo. Per andare in vacanza c’è tempo pure per Dzeko. Non alzerà una Coppa Italia che per lui fa rima con Spezia la stagione scorsa e il derby ora. Resta il campionato e un’altra storia tutta da scrivere. Partite singole, quelle: per l’andata e ritorno se ne riparla l’anno prossimo.

(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini)



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