E’ finita con i giocatori della Lazio a salutare la curva dei tifosi in festa. Una scena dimenticata da parecchio all’Olimpico, stadio solitamente semiabbandonato dai tifosi, sia della Lazio e della Roma, e adesso almeno colmo nelle due curve più popolari. Quello di ieri sera era il derby della riappacificazione dell’Olimpico, non certo fra le due tifoserie che comunque hanno continuato a guardarsi in cagnesco ma almeno non hanno tradito la fiducia delle barriere abbassate e di una prima parziale smilitarizzazione dell’impianto romano.

La festa è della Lazio, che torna in finale di Coppa Italia, contro la Juve o il Napoli, dopo due anni (quella persa contro la Juve) e che alla rivale molla uno schiaffo pesante quasi quanto la finale vinta nel 2013. La Lazio ha perso (2-3) ma ha messo dentro i gol necessari per evitare e compromettere la remuntada giallorossa, anzi sotto questo profilo non ha mai corso praticamente il minimo rischio. Con Milinkovic Savic e Immobile – gli stessi protagonisti del match d’andata – si è assicurata la certezza della qualificazione. I due hanno messo dentro i gol frustrando tutte le speranze della Roma, che gode di assai più considerazione e una posizione migliore in classifica, ma che al di fuori del campionato ha avuto un rendimento fallimentare. Gettate via Champions League, Europa League e Coppa Italia l’estrema difficoltà di togliere lo scudetto alla Juventus allontana del tutto Spalletti dalla Roma secondo il suo stesso teorema più volte riproposto in questo finale di stagione. «O vinco qualcosa o me ne vado».

Inzaghi ha replicato perfettamente le mosse dell’andata, schierando praticamente la stessa formazione che aveva già fatto suo il primo derby, puntando sui contropiede di Immobile, Anderson, Milinkovic, col solito Keita in panchina. La Lazio ha gestito il vantaggio con una calma serafica, anche troppa inizialmente, tanto da dare perfino molta confidenza alla Roma, ma sperando comunque di mandarla fuori giri, di innervosirla, di farle commettere qualche errore. E così infatti sarebbe successo. Spalletti ha scelto una formazione di velocisti, fortemente sbilanciata in attacco con Salah, Nainggolan, El Shaarawy e Dzeko, e con Fazio, De Rossi e Totti in panchina. Ma in una situazione di predominio la Roma ha rimediato troppo poco, e sprecato pure una preziosa occasione iniziale con Dzeko. Nel più classico dei copioni il primo cazzotto al mento lo ha così tirato la Lazio, in un’azione che ha sorpreso la difesa della Roma Immobile ha colpito, Alisson ha respinto e Milinkovic Savic ha messo dentro il gol che rendeva la partita insormontabile alla Roma. La remuntada giallorossa è subito morta lì, la Lazio si è alleggerita il cuore e ha cominciato a giocare in scioltezza, ha preso solo un gol abbastanza casuale – quello del pareggio – da El Shaarawy. Spalletti ha smesso di urlare e di sbracciarsi, soprattutto verso la difesa, ha cominciato a scrollare la testa e osservare angosciato la partita. Sotto la Nord laziale, insolitamente stracolma di tifosi biancocelesti sventolanti bandiere, la Lazio ha gestito in scioltezza la partita, colpendo in contropiede con Immobile, al suo 21° gol stagionale. Con la successiva doppietta di Salah e l’ingresso in campo di Totti, al crepuscolo ormai della sua carriera, la Roma ha vinto una partita solo virtuale, inutile. Il mite e sorridente Simone Inzaghi ha fatto mezzo giro di pista salutando tutto lo stadio e godendosi gli applausi.

(La Repubblica – F. Bocca)



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