Doveva essere il giorno della verità per il nuovo stadio della Roma a misura di grillino: quello in cui la giunta capitolina avrebbe dovuto scoprire le carte, mostrare il frutto dell’intesa – planimetrie, elenco delle opere pubbliche, conto economico – raggiunta ormai un mese fa dalla sindaca Raggi con i proponenti. Si è trasformato in un consiglio straordinario sullo stadio, senza però il progetto dello stadio. Unico risultato: l’ok a un odg della maggioranza, votato da tutti i 5S, nonostante i tanti malumori interni. «Ci vuole tempo per fare una cosa vera», si è giustificato il neo-assessore all’Urbanistica Luca Montuori, «i rendering, in genere, arrivano alla fine e raccontano ciò che i dispositivi tecnici stabiliscono». Perciò «oggi non siamo qui a presentare un progetto», ha chiarito subito, «chiunque abbia pensato o abbia indotto altri a pensare che si potesse realizzarne uno nuovo in così poco tempo non vuole capire la complessità di questo intervento». Perciò la sola cosa che «siamo in condizione di fare, oggi, è individuare un percorso», ha proseguito l’assessore. Costretto quindi ad avventurarsi nel riassunto delle puntate precedenti: le torri verranno eliminate, gli edifici del business park avranno la stessa altezza dell’impianto sportivo e saranno dotati della massima certificazione energetica. Per poi ribadire ciò che si temeva sarebbe stato espunto dalla delibera Marino: anche nella nuova, «che verrà approvata in giunta a breve, l’interesse pubblico sarà mantenuto», precisa Montuori, «e sicuramente imporremo di fare tutte le opere prima del calcio di inizio».
Ma al 5 aprile, ultima data della conferenza dei servizi, manca poco e i tempi per aprire i cantieri entro l’anno non ci sono. «Bisognerà cominciare tutto daccapo, che vuol dire che l’iter amministrativo durerà almeno 2 anni e lo stadio non si avrà prima di un lustro», attacca il dem Pelonzi. Facendo montare la polemica in aula. Con tutte le opposizioni compatte, da Pd a FdI, a chiedere «quella chiarezza e trasparenza che finora non c’è stata».
(La Repubblica – G. Vitale)
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