Non è difficile, però bisogna impegnarsi. E almeno a parole le intenzioni ci sono: niente scuse, dimostriamo di essere forti, è il pensiero dopo il sorteggio. Per le italiane l’Europa League è il solito tormento: la coppa del giovedì, che con 4 di Serie A spezzetterà ancor più il campionato, non viene abbracciata dal 1999, con il Parma, quando ancora si chiamava Coppa Uefa. E da allora anche nessuna finale. A maggio, quando si terrà l’ultimo atto a Stoccolma, le «non vittorie» potrebbero diventare maggiorenni.
PRESA DI COSCIENZA ROMA – Più soldi e più euro-sensibilità hanno portato nel recente passato i club vicini al traguardo. Ma soltanto vicini: due stagioni fa Fiorentina e Napoli uscirono in semifinale, idem l’ultima Juve di Antonio Conte nel 2014, cacciata dal Benfica quando si gustava la finale nel suo stadio. Le avversarie anche stavolta sono medio-facili, con 2 promozioni nel girone da 4. La presa di coscienza di alcuni dirigenti nelle sale di Montecarlo fa capire che a parole non esistono più alibi. Il d.g. della Roma, Mauro Baldissoni, ha detto: «Se non passiamo è solo colpa nostra, alla Roma manca la mentalità vincente internazionale, va costruita con i successi e guardando soltanto a noi: dobbiamo dimostrare in campo e non sulla carta che siamo forti». Evitato il Manchester United di Mourinho, i giallorossi che erano in seconda fascia hanno preso l’ultima della prima, i campioni cechi del Viktoria Plzen, fuori dalla Champions contro il Ludogorets. Anche i romeni dell’Astra hanno trionfato in campionato ma soprattutto hanno eliminato il West Ham passando a Londra. L’Austria Vienna del portiere della nazionale Almer invece ha passato l’estate in campo per le qualificazioni: tra ottobre e novembre dovrebbe avere meno energie.
(Gazzetta dello Sport – P. Archetti)
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