ULTIME NOTIZIE ITALIA CANNAVARO LIPPI – «Vediamo». Una sospensione del futuro, quella di Roberto Mancini, dettata e ridettata a voce bassa, che non può non amplificare le incertezze, in un momento così, scrive La Gazzetta dello Sport. Anche se il primo ad allontanarle, non a caso, è il presidente della Figc, Gabriele Gravina.
Che non a caso è seduto accanto a lui al tavolo della conferenza stampa post partita: «Mi auguro che Mancini continui con noi, che smaltisca in tempi rapidissimi le scorie di questa eliminazione e che ritrovi le energie perché ha un impegno con noi». Una speranza, non una certezza. Roberto Mancini non dice che resterà di sicuro perché ha un contratto ancora lungo e un lavoro da completare. Ma non dice neanche che dopo una botta così sarà inevitabile rivedere tutto, anche la sua posizione. Dice solo «vediamo, la delusione ora è troppo grande per tutti per parlare di futuro. Vediamo in questi giorni, ora non saprei davvero cosa dire».
Il futuro prossimo, martedì, è una partita inutile e beffarda contro la Turchia: troppo vicina per scendere in corsa dal treno che ha deragliato. Ma troppo vicino è anche lo sconforto: «Come la vittoria di luglio scorso credo sia stata la cosa più bella che ho avuto a livello professionale, questa è la più grande delusione. Il calcio è questo: a volte succedono cose incredibili e stasera è successo. Forse non dovevamo neanche essere qui, ma non è questo il punto, ora è difficile anche commentare questa partita, non saprei cosa dire. Dopo la vittoria dell’Europeo, strameritata, la fortuna che ci aveva accompagnato si è trasformata in totale sfortuna: come stasera, un tiro al 90’, sembra fatto apposta… Però è inutile parlarne ora, quando si perde bisogna anche saper soffrire, subire e stare in silenzio. A livello umano posso dire che voglio più bene stasera ai ragazzi che a luglio: questo è un momento di grande difficoltà e il mio affetto è ancora più grande. Non meritavano di non andare al Mondiale per la seconda volta. Ora è difficile parlare delle prossime settimane o dei prossimi mesi, deve passare un po’ di tempo. Ma la squadra è fatta da giocatori bravi e può avere un grande futuro. Non è loro la colpa e non è neanche del presidente: mi sento responsabile, l’allenatore è sempre il primo responsabile, sto soffrendo per questo».
Vicino a lui soffre anche Gravina, «ma ora – dice – dobbiamo trovare la cura per rimarginare in tempi rapidi le forti lacerazioni subite. Questo dolore lo dobbiamo superare insieme, come eravamo insieme quest’estate. Abbiamo ricevuto applausi per un Europeo che è stato storia, un patrimonio di sentimento da non disperdere ma da custodire, ora sono pronto a ricevere le critiche: ci metto la faccia, sono seduto qui accanto al tecnico, mi ricarico di energie per rafforzare il progetto mio e suo. Devo proteggere la Federazione, il tecnico e ragazzi e semmai capire esattamente cosa sta succedendo al calcio italiano. La Nazionale spesso viene vissuta dai club italiani più come un fastidio che come un’opportunità, noi possiamo solo chiedere, non imporre regole e la sconfitta di stasera ci fa capire che c’è qualcosa da fare nel nostro calcio e non mi riferisco solo alle riforme: c’è una progettualità monca, sono pochissimi i selezionabili, dobbiamo capire perchè tanti giovani non vengono utilizzati».
La sua intenzione, ribadita, è affidare a Mancini il domani, ma è chiaro che il commissario tecnico ha il suo destino in mano, nel senso che difficilmente la Figc non asseconderà la sua decisione, qualunque essa sarà: se vedrà le condizioni per proseguire il discorso avviato e sceglierà di restare, il contratto rinnovato quasi un anno fa fino al 2026 (non casualmente, la data del prossimo Mondiale) gli consentirà di lavorare per aprire un nuovo ciclo. Se invece il c.t. considererà chiuso il suo mandato, rinunciando all’incarico, Gravina aprirà, suo malgrado, la ricerca di un successore. E la Figc avrà tre strade davanti, per disegnare il futuro.
Un c.t. “fatto in casa”: la più accreditata porta a Fabio Cannavaro, con Lippi d.t. come da antico progetto. Non è un tecnico federale, ma in pochi come lui (136 presenze e più di 13 anni di Nazionale alle spalle) si identificano con l’azzurro e si sente pronto ad una carriera diversa, dopo l’esperienza maturata in Cina.
Un tecnico esperto, un «padre della patria» che inizi a lavorare, come aveva fatto Mancini, sulle macerie di un fallimento: la suggestione potrebbe essere Ancelotti, se fosse disposto a considerare chiuso il suo rapporto con il Real e la panchina della Nazionale come unica esperienza mancante al suo curriculum. Un tecnico «giochista» come Mancini, un educatore allo stesso tipo di calcio, per dare comunque continuità al lavoro iniziato quattro anni fa. Che ieri ha ricevuto un duro colpo, ma non è stato sconfessato, al di là del risultato. E che comunque deve restare un patrimonio della Nazionale, per non dover ricominciare proprio tutto da capo.
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