Eusebio Di Francesco

(Gazzetta dello Sport) Italia-Spagna 6-1, Roma che distrugge il Barça, Juve che terrorizza il Madrid. Tutto bene, ma ora non commettiamo l’errore opposto a quello dell’andata: una settimana fa eravamo nell’abisso, un sistema in crisi totale, oggi ci sentiamo la nuova Spagna. Probabilmente la verità sta nel mezzo: i molteplici successi nelle ultime Champions, lo scarto tra le due nazionali, non si cancellano con due partite pur straordinarie. Che possono però essere il punto di ripartenza. Non di discute che, nei quarti, la distanza sia stata accorciata dalla bravura dei tecnici. DiFra ha compiuto il capolavoro che gli dà cittadinanza nel gran calcio: se il Barça gioca quasi 4-4-2, non proprio ma insomma, non resta che una difesa «a tre» alta e aggressiva e una mediana che sia almeno in parità. Possibile con Dzeko che chiama a sé due difensori. Due gare studiate e programmate. Non sono tanti così visionari. Ma limitarsi alla tattica sarebbe riduttivo. E fa ancor più rabbia, perché la chiave è stata l’esaltazione, non frequente, delle armi migliori. I giallorossi sono discontinui, vincono bene poi perdono male, non hanno mai avuto il miglior Nainggolan, però sono l’italiana che sa attaccare meglio in massa, con furia e velocità, e così è stato: il Barça non si aspettava un’aggressione quasi suicida, potendo contare sul palleggio Rakitic-Iniesta e sulle fughe di Messi, e non s’è ripreso. Qui subentra il fattore psicologico. Il dato più negativo. In Italiaassistiamo a gare spesso noiose (e poi si chiedono perché all’estero è difficile vendere i diritti), ma il bello è che, se all’estero siamo sollecitati, spesso replichiamo bene (vedi anche il Milan con l’Arsenal). Serve una svolta ideologica, quello che aveva in fondo pensato Conte: se tutti gli altri vanno a 10 all’ora, a me basta forzare a 12 per infilarli. (…) Lasciamo stare stranieri, centri di formazione, istruzione al gioco (e non alla tattica) da bambini: questioni strutturali da stati generali. Torniamo al campo. Alla fine si è undici contro undici e, tra Roma e Madrid, s’è rivista quella dote assente da tempo e nella quale, se siamo al top, non abbiamo rivali: saper fare squadra. Come nel 2006 l’Italia. Nella Juve e nella Roma tutti hanno giocato per tutti: come un uomo solo che si fa squadra e tira su chi è più in difficoltà (Alex Sandro, Schick). Ci sono buoni motivi per un discreto ottimismo. Speriamo dalle semifinali.



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